mercoledì 29 ottobre 2014

Latemar, l'incantesimo di dolomia. Secondo giorno: Ferrata dei Campanili

Rifugio Torre di Pisa, ore 7.00: suona la sveglia nella piccola camerata, occupata quasi per intero da noi cinque. Dopo quasi 10 ore a letto possiamo dire di avere recuperato l'intensa giornata di ieri. Tempo di pisciare e affacciarsi dalla porta ed è pura meraviglia: mezzo Trentino sotto un denso mare di nubi che sale fino a 1700 metri o poco meno.

Verso occidente

Il sole prossimo a sorgere delinea le silhouette seghettate delle Pale e del Lagorai, e comincia ad arrossare le cime innevate di Adamello e Presanella, lontane a ovest. Si preannuncia un'altra giornata grandiosa.
Cima di Valsorda

L'escursione termica autunnale dà il meglio di sé, in pochi attimi dal fresco pungente della mattina passiamo a una temperatura gradevolissima, mentre la nebbia nelle valli più alte comincia a diradarsi.

La Valsorda sbuca nella val di Fassa sotto la nebbia

Ripercorriamo in direzione opposta il 516, attraversando in costa tutto l'altopiano dei Lastei di Valsorda fino alla Forcella dei Campanili (2685).

Arrivo alla Forcella dei Campanili

E' qui il cuore finanziario del Latemar, la City dove i migliori architetti geologici si sono sbizzarriti a innalzare grattacieli calcarei dalle forme sorprendenti, tutti uno affianco all'altro. Ed è qui che inizia il sentiero attrezzato dei Campanili, una cavalcata in quota attraverso il versante sud del corpo centrale del gruppo.

Tratti di sentiero, sullo sfondo i 

Si comincia con un traverso facile e panoramico, per poi alternare tratti di sentiero su cenge ghiaiose a passaggi di via ferrata, specialmente in prossimità delle spettacolari fenditure fra le pareti affacciate sulla valle di Carezza.



A circa tre quarti del percorso, dopo un vasto pendio uniforme, si stacca sulla sinistra la traccia per il Cimon del Latemar (2842). Risalendo il ghiaione, in meno di 20 minuti raggiungiamo così la cima più alta del gruppo, in posizione aerea e isolata: dalle nevi delle Alpi Retiche a quelle dei Tauri, con il massiccio Catinaccio in primo piano, il panorama è davvero notevole e a 360 gradi.

In vetta, Alpi e Dolomiti


L'ultima parte di ferrata è anche quella coi tratti più delicati, da affrontare in discesa - ragione per cui consiglierei di percorrerla in senso opposto. Un breve tratto su pioli di ferro in forte esposizione conduce nel centro dell'ennesima fessura, superabile grazie a un masso incastrato: la roccia bagnata e un fittone staccato rendono tutto più difficile.


Poco oltre compare sotto di noi la Forcella Grande del Latemar (2650), con il puntino arancione del bivacco Rigatti, e la ferrata scende verticale su una paretina di roccia non eccelsa.

Cima Schenon e Bivacco Rigatti

Un po' di sosta al bivacco, piccolo ma con addirittura 12 posti letto, e ripartiamo in salita verso lo Schenon: abbiamo ritrovato il sentiero 18 percorso ieri, che con passaggi ripidi su terreno un poco friabile ci accompagna su questa seconda importante cima (2800), defilata dal corpo centrale e ben riconoscibile da Carezza.

In vetta allo Schenon

Il sentiero prosegue dunque verso est, calando di quota per costeggiare la cresta del Cornon (2757): a questo punto, nuovi passaggi difficili mettono a dura prova la nostra concentrazione, un poco calata dopo diverse ore in alta quota. Sapevamo che il sentiero non sarebbe stato banale, ma vedere tante persone sullo Schenon, e il cartello che indicava la Forcella Piccola a 30 minuti, ci aveva spinto a prenderlo alla leggera.

Sentiero 18 sotto il Cornon: EE cattivo

In realtà questo sentiero segnato normale sulle cartine presenta diversi tratti di I e qualcosa anche di II grado, principalmente traversi e canalini che consentono di superare le ruvide insenature a sud del Cornon; l'esposizione non è mai totale, ma a mettere un piede male qui si rischia grosso. Ci sorprende vedere persone che salgono tranquille ancora alle 14 passate, con il sole che ormai abbandona il lato est del Latemar!

Le ombre del Latemar dalla Forcella Grande

Alla Forcella Piccola (2526) ritroviamo con piacere timidi prati, che si interrompono bruscamente nel baratro verso Carezza: è qui che siamo diretti. Rimaniamo sul 18, che scende in un profondo ghiaione lasciandosi alle spalle (e prima ancora sopra la testa) le guglie di Cima Le Pope (2460). Perdiamo 700 metri in un'ora scarsa, e le ginocchia se ne accorgono! Attraverso i boschi di larici lambiamo di nuovo il Labirinto del Latemar, concludiamo l'anello ritrovando i sentieri percorsi ieri e sempre sull'inseparabile sentiero 18 raggiungiamo il paese di Carezza e l'auto bella cotta al sole di metà luglio... ehm volevo dire ottobre.

Banane di san Martino
Dati Escursione:
Punto di partenza: Rifugio Torre di Pisa (2670)
Punto di arrivo: Grand Hotel Carezza (1609)
Punto più elevato: Cimon del Latemar (2842)
Dislivello in salita: 400
Dislivello in discesa: 1400
Tempo totale di percorrenza: 8,5 ore 
Grado di difficoltà: EEA
Segnaletica: Buona: numerosi ometti, segni un po' più radi lungo il 18 sotto il Cornon
Punti d'appoggio: Bivacco Rigatti. No acqua, rifornirsi al rifugio (quella del rubinetto non è potabile, comprare birra che è più conveniente dell'acqua in bottiglia lassù!)



venerdì 24 ottobre 2014

Latemar, l'incantesimo di dolomia. Primo giorno: da Carezza al rifugio Torre di Pisa

A sud il Trentino, la lingua italiana; a nord l'Alto Adige, la lingua tedesca; anfratti e trincee naturali, feritoie ciclopiche affacciate a valle: il Latemar sarebbe stato un campo da battaglia ideale. Eppure la Grande Guerra non si è giocata qui, fra queste ruvide guglie: e forse il risentimento, covato maggiormente altrove, ha risparmiato lo stesso nome Latemar da un forzato corrispettivo in italiano.

Latemar, sullo sfondo l'alta val d'Ega

Un nome, due lingue, e almeno quattro volti. A nord, l'immagine ufficiale: torri sottili e slanciate sorvegliano il Lago di Carezza, facendo da degno contrappunto ai bastioni massicci del Catinaccio/Rosengarten. Sono lo Schenon, la Torre Christomannos, il Cimon del Latemar; e sulle loro pareti, personaggi del calibro di Angelo Dibona e Tita Piaz hanno scritto pagine importanti (e di rado rilette) dell'alpinismo sulle Dolomiti nei primi del Novecento.

I torrioni del Latemar da Mitterleger, sopra il Lago di Carezza

A sud, tutto il contrario: racchiuso fra un sistema di creste secondarie, si distende pacato l'altopiano glaciale dei Lastei di Valsorda: le stesse torri di prima vi si affacciano con ampi pendii regolari, all'apparenza lisci ma rigati da cenge e ghiaioni. In mezzo fa caldo, e si respira un'aria lunare.

Il gruppo del Latemar visto dai Lastei di Valsorda
Passando a est, nella zona del Cornon, sembra che la roccia abbia ribollito a lungo nelle viscere della Terra: il Latemar appare qui più tozzo, consumato, ma sempre ruvido come suo solito.

Scendendo dallo Schenon verso il Cornon

Il meglio però questo gruppo dolomitico lo dà verso ovest: attorno alle elevazioni principali (le cime del Forcellone, Paion e Valsorda) è tutta una parata bizzarra di pinnacoli, dita, campanili di dimensioni variabili, spesso storti, minacciosi. E' come se la grande foresta di conifere che ricopre l'altopiano della Val d'Ega continuasse qui, a 2500 metri, pietrificata da un incantesimo.

Salendo verso la Forcella dei Camosci

Per immergersi in questo mondo non basta starsene seduti sugli impianti dello Ski Center Latemar: bisogna mettersi zaino e gambe in spalla e risalire i sentieri che portano nel cuore del gruppo. Noi le seggiovie nemmeno le abbiamo considerate, anche perché abbiamo scelto per la nostra escursione un periodo morto, in cui le strutture turistiche delle Dolomiti sono quasi tutte chiuse per ferie. Ma non proprio tutte.

Belvedere sotto il rifugio Torre di Pisa

Il rifugio Torre di Pisa ad esempio rimane coraggiosamente aperto fino ai primi di novembre, salvo nevicate. Si trova a 2670 metri, in posizione meravigliosa, vicino a una di quelle strambe formazioni calcaree che pende come il campanile pisano. Abbiamo deciso di fare tappa qui per il nostro intenso weekend sul Latemar.

Il rifugio...
...e la Torre di Pisa, al centro della foto

Siamo partiti dal Grand Hotel Carezza (1609 metri), un po' come i primi esploratori di questa porzione di Dolomiti, ma non ci abbiamo certo dormito, anche perché era chiuso! Seguendo i sentieri 18, 21 e 22 abbiamo attraversato le sontuose foreste a nord e poi a ovest del gruppo, con i larici più alti ormai ingialliti. Dalla radura di Mitterleger, vicino al Labirinto del Latemar, abbiamo apprezzato tutta la forza delle pareti nord, abbagliati dal sole alle loro spalle.

Il sole sbuca dalla Forcella Grande del Latemar

Poco sopra all'arrivo della seggiovia Oberholz, abbiamo ripreso il 18 per salire alla Forcella dei Camosci (2560), in un climax di guglie e torrioni storti, mozzati, acuminati. Attraverso i ghiaioni dei Lastei di Valsorda, con un saliscendi arriviamo finalmente al rifugio, godendoci una - anzi cinque - birre con il sole del pomeriggio in faccia e mezzo Trentino sotto il naso.

Qualcuno ha fatto lo speciale con la weiss.
 così merita di non comparire nella foto

Il panorama dal rifugio è veramente di quelli d'eccezione, e non posso farmi sfuggire l'occasione di immortalare un tramonto sulle Dolomiti con una giornata fortunata come oggi. Fosse stato per i rifugisti avremmo cenato alle 18, se non prima, ma alle 18 Pale di san Martino, Marmolada, Pelmo Civetta e Tofane stanno giusto iniziando a tingersi di rosso, per quel fenomeno sempre emozionante chiamato Enrosadira. In pieno autunno dura poco e bisogna farsi trovare pronti.

La sfilata delle Pale di san Martino: inizio del tramonto...
...le ultime luci

La notte è di quelle senza luna, con le stelle che sembrano più vicine e riempiono del loro scintillio tutta la volta celeste. La val di Fiemme e la piana dell'Adige laggiù, coperte da una leggera nebbiolina, emanano timide luci giallognole che non bastano a scalfire lo spettacolo. I profili aguzzi del Lagorai si riconoscono ancora, più scuri delle tenebre, mentre dall'altra parte si stagliano più chiari i ghiaioni del Latemar, che ci aspettano pazientemente per domani.

Guardando verso Trento

Nemmeno il tempo di fare un secondo giro di grappe e alle 21.30 ci spediscono a letto: non importa se siamo gli unici ospiti del rifugio e se abbiamo accordato la colazione dopo le 7.00: le regole del Torre di Pisa sono queste e non è il caso di lamentarsi, forse stasera è l'unico rifugio in quota aperto sulle Dolomiti... poco male, ci attende una giornata lunga e abbiamo bisogno di riposo!

Latemar a sinistra, a destra Tofane e Marmolada
Vista dal rifugio verso il Lagorai


Dati escursione
Punto di partenza: Grand Hotel Carezza (1609)
Punto più elevato: Rifugio Torre di Pisa (2670)
Dislivello in salita: 1250
Dislivello in discesa: 200
Tempo totale di percorrenza: 6 ore 
Grado di difficoltà: E
Segnaletica: Ottima
Punti d'appoggio: Nessuno. Acqua lungo il sentiero 21
Note: Possibilità di diminuire il dislivello

Continua: Latemar, l'incantesimo di dolomia: secondo giorno, Ferrata dei Campanili

martedì 7 ottobre 2014

Seconda Traversata delle Apuane: Monzone - Forno via monte Sagro

La vita è fatta anche di coincidenze: fra i treni come fra le tue azioni. Era maggio ed era venerdì quando all'indomani di Cibus, dove avevo lavorato, decisi di partire con i mezzi pubblici per attraversare le Alpi Apuane a piedi in giornata; ora, alla vigilia di Mercanteinfiera, eccomi di nuovo alle 5 del mattino sul primo treno per La Spezia, ancora di venerdì, ancora diretto alle Alpi Apuane. Questa volta però il piano è di attraversarle nel verso opposto, cioè dalla Lunigiana al mare, nonché su sentieri del tutto diversi da quelli percorsi la scorsa primavera.

Cresta sud del monte Sagro

Linea Aulla - Piazza al Serchio, semi-deserta: attendo invano una voce registrata stile London Underground che annunci: "The next station is Monzone Monte dei Bianchi Isolano". Peccato, avrebbe suonato benissimo. Del resto è già tanto se un posto simile ha ancora la stazione!


Ho sempre considerato il Lucido come un confine mentale fra il mondo dell'Appennino e quello delle Apuane. A nord del torrente è tutto un ondularsi di colline, i paesi distesi sui vigneti baciati dal sole, i profili tozzi del crinale tosco-emiliano lontani alle loro spalle; a sud i fianchi ombrosi precipitano a valle ripidi, pochi borghi coraggiosi vi si aggrappano dove trovano spazio, e sopra la loro testa svettano i picchi delle Apuane con una prominenza degna delle Dolomiti.

Monte dei Bianchi

La maggior parte dei centri abitati sono però sul pianoro della valle, dove passa la ferrovia e una superstrada in via di costruzione (da almeno 8 anni...). Cammino lungo via Riolo, in Monzone Basso (270 metri), dove le case sembrano doversi sgretolare da un momento all'altro sotto il peso della propria marcescenza. Ciononostante respiri ancora un soffio di antica ricchezza nei portali sormontati da stemmi, in una loggia con affreschi di frutti colorati ormai cancellati dal tempo.


Monzone Alto si presenta un poco meglio, anche se la chiesa e il suo piazzale sono ancora inagibili dal terremoto del giugno 2013. Mi sento addosso gli sguardi dei paesani, quelli per via come quelli da finestre nascoste chissà dove. Un signore incuriosito mi chiede dove sono diretto: - Forno? Ma Forno è lontano molto veh! - Tranquillo nonno, vedrò di arrivarci prima che faccia buio, anche perché ho un appuntamento inderogabile con l'autobus...

Monzone Alto, sullo sfondo il monte Sagro

Dal paese comincia il sentiero 194, inizialmente uno stradello che risale i ripidi castagneti, poi un lunghissimo tratturo in costa, sempre nel bosco. Il percorso è segnalato molto bene e impreziosito da alcuni pannelli informativi con curiosità geologiche, botaniche e proto-industriali; tuttavia a giudicare dalle ragnatele e dai tanti sassi sparsi non deve essere troppo frequentato né curato... nei dintorni intravvedo anche pinnacoli calcarei interessanti per gli arrampicatori (su uno c'è una corda fissa).

Torre di Monzone e Rocca di Tenerano

Il bosco è silenzioso, secco: ad ogni svolta su un nuovo avvallamento non trovo ombra d'acqua nei fossi, soltanto sassi e rami caduti incanalaticisi con pioggia e frane. Finalmente all'inizio della faggeta, ormai vicino ai 1000 metri di quota, trovo un tubo proveniente da una sorgente vicina, con un provvidenziale rubinetto presso la giuntura (così non devo fare opera di scasso come l'ultima volta!). Una bella rinfrescata, bevuta e mangiata dell'ottima focaccia di Monzone e riparto come un regionale veloce, ansioso di mettere la testa fuori dagli alberi.

Dietro gli alberi il Pizzo d'Uccello da un'angolazione insolita

Con un po' troppa fretta, seguendo il 171, liquido il fiabesco bosco d'alto fusto racchiuso nella conca fra Torre di Monzone e Rocca di Tenerano: i nomi di questi due paesi a fondovalle sono portati in alto prime montagne significative che si incontrano sulle Apuane venendo da nord-ovest. Dopo la località Cardeto passo sul 174, e supero il valico di Foce Pozzi (1220).

Pizzo d'Uccello e Vinca

Mi trovo ora sopra la conca di Vinca, e in uno scenario meraviglioso, dietro a prati con pini faggi e castagni isolati, ricompaiono i giganti di marmo che circondano la valle: il Pizzo d'Uccello, con la lunga cresta di Nattapiana, fa da fondale roccioso alle case rosse di Vinca; il Grondilice con la bizzarra cresta di Garnerone ne è il naturale proseguimento; infine il Sagro, un triangolo rettangolo quasi perfetto, si fa mano a mano più vicino.

Foto di gruppo: da sinistra Pizzo, Pisanino, Grondilice e Sagro

E' sorprendente come in un attimo passi dal paradiso all'inferno: le Apuane sono sempre estreme. E così uscito da un boschetto improvvisamente mi ritrovo di fronte un vasto sistema di cave che occupa tutta la porzione finale della valle, mangiandosi pezzi della cresta nord-ovest del Sagro: proprio quella che intendo percorrere! Il sole picchia malgrado la quota, e il bianco diffuso del marmo lo riflette raddoppiandone la forza.


Lo spettacolo non è certo felice, ma purtroppo è solo l'inizio: giunto nella parte alta di Campo Cecina, a Foce di Pianza (1269) la vista si apre sul mare, e su nuove enormi cave nel bacino di Torano, dove intere montagne sono state trasfigurate. Cerco di non pensarci e dedico tutta la mia attenzione alla parte ancora salva del Sagro, per fortuna ampia. Tutto il versante ovest della montagna si presenta come un "paginone" erboso, simile a tante realtà dell'Appennino Tosco Emiliano, con pendii mai troppo ripidi.

Versante ovest del Sagro e cave alte di Campo Cecina

Ora seguo il 173, ma prima della Foce del Fanaletto devio sulla "via normale" alla vetta, segnata con bolli bianchi e blu, che segue appunto la cresta nord-ovest, ripida, lunga ma abbastanza facile. La croce sembra sempre lì a un passo, ma è l'effetto Tour Eiffel... La giornata inoltre, cominciata fresca e senza l'ombra di una nuvola, si è andata guastando verso il pomeriggio: di certo per il caldo e l'umidità fuori dal comune, che da nuvolette minuscole e innocue hanno fatto sviluppare i soliti cumuli corredati da nubi basse, solite impigliarsi fra le creste apuane come peli in una spazzola.


Un ometto dopo l'altro, finalmente arrivo in cima al monte Sagro (1753), non stanco ma quasi: ci sono tre escursionisti, e purtroppo molte nubi... l'effetto vista a sorpresa sulla Versilia e il cuore della catena apuana è rovinato! Comunque tempo di mangiare panino e focaccia, si apre qualche prezioso spiraglio sulle cattedrali calcaree che chiudono l'alta valle del Frigido, sulla lunga cresta del monte Sella, sulla sagoma inconfondibile della Pania della Croce.


Sotto il mio naso si stacca invece la cresta sud, che mi accingo a percorrere prima che tutto sia coperto di grigio. Si tratta di un itinerario non segnato, ma privo di difficoltà escluso qualche passaggio ripido e minimamente esposto.

Cresta sud del Sagro: l'inizio...

Le nubi si infrangono letteralmente contro il ripido fianco est della cresta, lasciando sgombro il versante di Campo Cecina, più dolce; ogni tanto però mi è concesso uno sprazzo di sereno per misurare il baratro che sprofonda alla mia sinistra sulla valle del Canale Ragolo, dove sorgono antichi fabbricati di cavatori ormai ridotti a ruderi.

...e la fine

Superata la bella cima del monte Spallone (1639), il crinale scende fino a intersecare presso Foce Faggiola il sentiero 172, che prendo a sinistra verso Foce Luccica. Entro ora nel versante sud del Sagro, più scosceso di quello ovest, affacciato vertiginosamente sulle cave alte di Colonnata. Il sentiero, a prima vista poco frequentato, procede prima in traverso, poi scende deciso a tornantelli: vecchi ricoveri di pastori e qualche capra spaventata dalla mia presenza vivacizzano la progressione.


Poi eccomi letteralmente sopra una cava: ahi ahi, vuoi che il 172 sia stato cancellato insieme ai pezzi di montagna su cui passava? Una vertiginosa scala scolpita sul marmo vivo, protetta da due cavi, mi conferma che posso andare giù senza volare. Sono nel cuore della cava, a due passi da pareti lisce e lucide che sono qualcosa di spaventoso, sublime... per fortuna non ci sta lavorando (e scoppiando mine) nessuno, altrimenti sarebbe stato anche molto pericoloso con tutti i massi in bilico in giro.


Una nuova scala attrezzata, con gradini altissimi, e un breve traverso con cavo d'acciaio mi accompagnano fuori dalla zona di estrazione, ormai sotto Foce Luccica (1029) e vicino al bosco. Mi perdo il bivio col 38 per Vinca, ma resto sul sentiero giusto: ora sono felci rigogliose e qualche ginepro a rendere difficile la progressione, specialmente con i pantaloni corti... un po' di relax in Apuane mai?


Poi il sottobosco si fa più pulito, posso accelerare il passo siccome non è poi così presto. Raggiungo gli alpeggi panoramici di Vergheto (853), dove sorgeva un vecchio rifugio del Cai: un luogo ricco di fascino, specialmente per il meraviglioso castagneto che lo circonda, con grandissimi alberi isolati. Faccio un po' di confusione a trovare il 169 che scende a Forno, così per non sbagliare scendo dalla strada asfaltata, tagliando senza troppi complimenti i tornanti.

Vergheto

Presto comunque ritrovo il sentiero, che con una serie interminabile di gradini, certo costruiti col sudore dei paesani per raggiungere i loro alpeggi con la via più diretta, perde velocemente quota fino al fondovalle, alle porte di Forno (212). Do giusto un'occhiata veloce alla storica filanda, che sfruttava le sorgenti carsiche del Frigido oggi un po' sottotono, dopo un settembre con poca pioggia.

Filanda di Forno

Il paese si sviluppa per il lungo, con un borgo sinuoso che lo attraversa tutto fiancheggiato da vicoletti. Posso persino concedermi il lusso di una crepe con cioccolato fondente, neanche fossi a Canterbury! Ora la mia preoccupazione è assicurarmi che passi l'autobus alle 18.13: in un bar mi dicono che secondo loro l'orario è cambiato, e se voglio prendere il treno da Massa alle 19 mi conviene cercare un passaggio...

Forno, oratorio di Sant'Anna

Così pedino una signora, trovando la battuta giusta del tipo "Ma quanti km ci sono da qui a Massa?" già sapendo in realtà che sono 6 o 7, troppi da fare in un'oretta già stanco. Non preoccupata dalle mie racchette (che invece sembravano aver spaventato qualche altro paesano) né dal mio odore non certo gradevole, la signora si offre di accompagnarmi alla stazione, dove già è diretta per prendere sua figlia. Mentre ci dirigiamo alla sua auto incrociamo l'autobus che sale... vabbè, Google è più affidabile degli abitanti di Forno riguardo all'ATN.

Genzianelle in Apuane il 3 ottobre

Tornerei a prendere il bus, ma la signora, gentilissima, insiste... la storia non finirà con il matrimonio di Luca e la figlia che torna in treno dall'Università di Pisa, né tanto meno con la madre; bensì con una Corona comprata da un kebabbaro: esattamente (salvo il kebabbaro) come dopo la prima traversata, a Equi Terme, dall'altra parte di queste montagne meravigliose. Le coincidenze, dicevamo...

La bicicletta rimasta al sicuro fuori dalla stazione per 17 ore

Punto di partenza: Stazione di Monzone (270 m)
Punto di arrivo: Forno (212)
Punto più elevato: Monte Sagro (1753)
Dislivello in salita: 1600
Dislivello in discesa: 1550
Tempo totale di percorrenza: 9 ore  
Grado di difficoltà: EE
Segnaletica: Ottima sul versante della Lunigiana, discreta su quello massese
Punti d'appoggio: Acqua lungo il sentiero 194, a due ore da Monzone (da tubo)
Accesso ferroviario: Partendo da Parma, il primo treno per La Spezia delle 5.15 è la soluzione migliore. Da Forno bus linea ATN per Massa (controllare orari, considerare che la fermata è a 15 minuti di cammino dalla stazione!) Da Massa partono treni per Parma (con un cambio) ogni ora fino a sera tardi.
Note: Escursione di gran soddisfazione, sconsigliabile nei mesi estivi.