lunedì 10 novembre 2014

Monte Contrario, anello in Val Serenaia sfidando l'umidità per creste di marmo

Le Alpi Apuane sono un piatto che va consumato freddo, e senza fretta: come il pesto di cavallo, o il marmo. E' un comune errore presentarsi qui affamati, dopo aver tracciato nella mente e sulla mappa itinerari che poi nella realtà si dimostrano irrealizzabili; queste sono montagne severe, con pesanti dislivelli, un terreno delicato, condizioni meteorologiche che cambiano facilmente e in breve tempo.

Marco sulla cresta ovest del monte Contrario
Le strade di avvicinamento sono tortuose e malmesse, i sentieri ripidi, molte cime raggiungibili soltanto con difficoltà ai limiti dell'escursionismo... eppure ciò che offrono a chi le viene a scoprire ripaga di tutte le fatiche: paesi silenziosi aggrappati ai fianchi delle profonde vallate, boschi di faggi e castagni secolari, creste e pareti rocciose che anche sulle Dolomiti farebbero la loro figura.

Strane formazioni rocciose di origine metamorfica presso Foce di Cardeto

Per questo il 2014 è stato un po' l'anno delle Apuane, che prima avevo soltanto ammirato da lontano. Dalla primavera all'autunno inoltrato, ora in treno ora in auto, in tenuta estiva o con piccozza e ramponi, sempre su cime e sentieri diversi, sono andato a poco a poco scoprendo queste montagne aguzze affacciate sul mare.


Il Pisanino coperto dalla nebbia

Il progetto per oggi è la cresta del monte Cavallo, forse l'itinerario più spettacolare di tutta la catena. Partiamo di buon ora da Parma, e planando sopra la Lunigiana lungo l'autostrada della Cisa le Apuane ci danno il benvenuto sbucando dal mare di nubi che avvolge la valle. Le premesse per una giornata perfetta ci sono tutte!


Lungo la valle del Lucido balzano all'occhio i danni dell'alluvione di pochi giorni fa, con piccole frane sopra la strada e i letti dei torrenti pieni di piante sradicate. Ci fermiamo a Codiponte per un caffè, e scopriamo con piacere che la pieve romanica è già aperta: ne approfittiamo così per visitare questo autentico gioiello, con capitelli scolpiti e un polittico quattrocentesco conservato benissimo.

Sopra Foce del Cavallo

Per trovare il pane fresco dobbiamo salire a Minucciano, dove ci facciamo farcire i panini con un insaccato locale dall'aspetto poco rassicurante: il biroldo. Somiglia più a un gruviera d'asfalto invece la strada per la val Serenaia, dove parcheggiamo (quota 1060) e partiamo, con un certo ritardo sulla tabella di marcia, grazie a buche capitelli e biroldi.

Panino col biroldo

Il tempo non è esaltante: umidità alle stelle, una cappa grigia copre il cielo, fazzoletti di nebbia vanno nascondendo le cime dell'Appennino e presto - come sempre - si formeranno anche qui. Per fortuna ci sono le foglie appassite a dare un po' di colore alla valle, dove per ora siamo le uniche anime vive: cave e rifugi chiusi, nemmeno un'auto parcheggiata.

Val Serenaia, dal basso...

La salita nel bosco lungo il sentiero 180 è rallentata dalle foglie bagnate, che nascondono sassi insidiosi. Superato il rifugio Orto di Donna (1494) saliamo verso il Passo delle Pecore (1610), e scopriamo una piccola falesia attrezzata con spit nuovi di zecca. Al valico ci affacciamo sulla Versilia, dove il tempo purtroppo non è migliore... il mare si confonde con il grigio del cielo, mentre il grigio del marmo precipita nella valle degli Alberghi con piastroni lisci.

...e dall'alto

Ci giriamo lentamente alla nostra sinistra per farci un'idea del monte Contrario, con la sua parete sud che le nubi giocano a nascondere. Seguiamo una debole traccia che ci porta a risalire alla meno peggio prati ripidissimi, dove l'erba bagnata è quasi più affidabile dei sassi: portarsi un souvenir in mano fino in fondo al vallone è un rischio concreto!

Il quasi-fedele paleo, l'erba delle Apuane

Col dubbio di esserci complicati inutilmente la vita, passiamo su una traccia leggermente migliore, che prosegue in costa sul versante garfagnino, al limitare dei faggi. Presto però dobbiamo cimentarci di nuovo con la cresta, dove notiamo alcuni spit: si comincia a fare sul serio dunque! I passaggi non superano il secondo grado, ma la roccia umida e molto poco affidabile rende tutto più complicato.

Passaggi esposti in cresta

Ogni passo va calibrato, il corpo e la mente cercano un equilibrio precario abbracciando la montagna. In un punto la cresta si stringe fino a diventare una lama, sospesa sull'abisso nascosto dalle nubi. Purtroppo questo stato di trance dura poco, siccome la cresta diventa troppo difficile e siamo costretti a scendere un poco verso nord, puntando a un canale erboso.

Quasi in cima

E' il momento più delicato, siccome lo sfasciume domina e la discesa fa sempre più pensare e penare... comunque ne sbuchiamo fuori, e una volta sull'erba possiamo guadagnare con più tranquillità la selletta sotto la cima. Soltanto qui ci accorgiamo di quattro paia di corna ferme sulla vetta... Lo sguardo insistente che solo le capre riescono ad avere ci pesa mentre superiamo le ultime facili roccette: ora via dai piedi, lasciate il Contrario alla specie superiore!


Non senza soddisfazione raggiungiamo la vetta (1789, come la Presa della Bastiglia), le capre scomparse chissà dove, e chissà cosa ci facevano qui! Del resto di certo si saranno fatte anche loro la stessa domanda riguardo a noi... Le nubi lasciano vedere una minima parte del grandioso panorama che dovrebbe godersi da qui; è mezzogiorno passato, e le probabilità di riuscire a concludere la cresta del Cavallo calano drasticamente!

La cima vera e propria del Contrario (in realtà sotto c'è spazio...)

Intanto bisogna scendere: il versante est è più erboso di quello percorso in salita, e le rocce sono mediamente più affidabili. Di fatto però occorre superare anche qui passaggi di I e II grado, non di rado esposti. Un torrione che visto da valle e da di fronte sembrava insormontabile, viene vinto dalla traccia risalendo un prato pensile ripidissimo. Poi un'altrettanto ripida discesa, un ultimo salto di roccia e siamo alla stretta Foce del Cavallo.

Qualche passo di secondo grado

E' quasi l'una, beffardo sbuca il sole e la nebbia si dirada un poco per mostrare le sbalorditive gobbe del Cavallo e la Piastra marina. Il desiderio di proseguire si scontra con la ragione: due ore molto abbondanti di cresta (senza considerare il terreno bagnato) e altrettante di discesa significherebbero arrivare all'auto con il buio... saliamo giusto un poco su per la prima gobba, ma prima dell'impennata rocciosa finale decidiamo che è più saggio tornare indietro e rimandare la cresta a una giornata con più visibilità, anche per rimanere col desiderio di tornarci.

La prima Gobba del Cavallo

Tornati all'intaglio scendiamo per una traccia su canale erboso, per poi tagliare sui prati in direzione della Foce di Cardeto. Tenuti d'occhio dai bastioni nord-ovest del Cavallo e dai bizzarri Zucchi di Cardeto attraversiamo una zona di palese natura glaciale, resa però speciale da fenomeni di carsismo. Incontriamo numerose doline, una in particolare di cui non si vede il fondo.

Verso Foce di Cardeto: la nebbia si alza

Poi ci ritroviamo in una zona con grandi blocchi segnati da fitte scanalature curve parallele, da lontano quasi simili a radici di alberi secolari. Giacomo ci spiega che la loro origine è metamorfica, e testimoniano le altissime temperature raggiunte durante la formazione della catena apuana; è come se geometriche fiamme fossero rimaste impresse nella roccia che ne ha conservato i profili... mai visto niente di simile.


Raggiungiamo l'intaglio della Foce di Cardeto (1680) verso le 14, e possiamo ritenerci soddisfatti. Mentre mastichiamo delusi il biroldo, sentiamo voci salire dalla valle, voci giovani e straniere... ecco sbucare un gruppo di ragazzi e ragazze italo-francesi, anche gradevoli alla vista: un incontro ancora più improbabile di quello con le capre in cima al Contrario. Le Apuane riservano sempre sorprese.

Tornando giù

La nebbia sale, fa sempre più fresco, è ora di scendere. Con 178 riusciamo a chiudere un bel giro ad anello attorno alla val Serenaia, non senza aver appoggiato un po' di volte il sedere a terra sotto le foglie bagnate. Prima di rigettarci in autostrada, ci concediamo una visita al paesino di Pieve San Lorenzo, con un'altra bella pieve ma anche stazione, discoteca, centro fitness, bar, ferramenta... e naturalmente alimentari, per portare a casa un po' di buon pane casareccio e lardo di Colonnata... il biroldo lasciamolo dov'è, mentre il pesto di Cavallo sarà per la prossima volta.

Punto di partenza: Parcheggio sopra il rifugio val Serenaia (1060)
Punto più elevato: Monte Contrario (1789)
Dislivello in salita: 700
Tempo totale di percorrenza: 5 ore
Grado di difficoltà: PD
Segnaletica: Buona sui sentieri, assente in cresta e sul traverso nei prati fra Foce del Cavallo e Foce di Cardeto
Punti d'appoggio: Rifugio Orto di Donna (aperto in estate)

giovedì 6 novembre 2014

Cornone di Blumone, anello da Malga Cadino al confine fra calcare e granito

Con quel nome che si ritrova, è dura prenderlo sul serio: eppure noi lo abbiamo avvicinato con una reverenza degna di un tremila. Lasciamo Parma alle 5.30 e dopo tre orette parcheggiamo a Malga Cadino (1800), poche curve sotto il Passo Croce Domini; il termometro segna 3 gradi sotto zero. Three is a magic number.

Verso l'Adamello dalla vetta del Cornone di Blumone

Agganciamo la piccozza allo zaino, controlliamo di avere caricato i ramponi: i prati che ci circondano, ancora tutti verdi o quasi, sembrano dirci: - Cosa volete fare con quegli affari, ararci e falciarci? - Forse si ricordano ancora di quel giorno di quasi un anno fa in cui venimmo proprio da queste parti, nella vallata di fianco, a tirare piccozzate all'erba. Ma quel giorno almeno era fredda, l'erba...


Oggi il freddo passerà velocemente con l'alzarsi del sole, che nel giro di un'ora scalderà la val Cadino, da noi scelta come avvicinamento alla nostra vetta. Sulla skyline si riconosce in lontananza il sasso di forma bovina che dà il nome al Passo della Vacca; in primo piano la cuspide calcarea della Corna Bianca, che spicca per il suo colore chiaro; ma chi spicca più di tutti è il Cornone di Blumone, là dietro a tenere d'occhio la valle come un'aquila scura di granito.

Val Cadino

Ed è il granito dell'Adamello. Qui comincia il Parco Regionale, e alle cime tutto sommato modeste delle medie valli bresciane, dove domina la roccia calcarea, subentrano colossi granitici di ben altra stazza. Per la sua prominenza, il Cornone di Blumone si può ben considerare il primo campione di questa nuova categoria di montagne: non più Prealpi, ma Alpi schiette.

Ghiaccio presso il Lago della Vacca e versante ovest del Cornone

Eccoci nel frattempo ai piedi della Corna Bianca (2119), con la sua sabbiolina che ricorda molto le spiagge toscane. C'è un piccolo parcheggio riservato, dove chi dispone di permesso può lasciare l'auto risparmiandosi mezzora di sterrato da Malga Cadino (ma a tutto danno dell'auto, siccome lo sterrato non è ottimo!).

Sotto la Corna Bianca

Lasciamo il 19 per un sentiero non numerato diretto a Malga Laione di sopra (1829), che perde progressivamente quota. Larici che cominciano appena ad ingiallirsi ci accolgono attorno alla malga, dove qualcuno ha dilaniato di colpi i pascoli prima di noi, forse mucche impazzite d'amore per il sasso a forma di vacca del passo della Vacca.

Passo della Vacca

Ci immettiamo sul 17 riprendendo a salire, con il possente versante sud del Blumone di fronte a noi. Incrociamo persino un pastore che porta a valle le pecore, il 25 ottobre... In prossimità di un bivio, imbocchiamo una nuova traccia non segnata ma ben evidente che si stacca sulla sinistra e scende a guadare il torrente Laione, emissario del Lago della Vacca.

Transumanza ritardataria

Il rio è asciutto, siccome il grosso delle acque viene dirottato dalla diga verso una vasca di carico, dove intubato e gettato quasi a picco alla centrale idroelettrica nella piana del Gaver, 400 metri più in basso. Queste imponenti opere idroelettriche risalgono agli anni 20.

Sul canale di gronda

All'invaso arriva anche una seconda condotta, che tramite una galleria raccoglie le acque del Lago Nero, e costeggia tutto il versante sud-est del Cornone.  Il canale di gronda, chiamato Tracciolino, passa sotto e sopra rupi vertiginose, mantenendosi ostinatamente orizzontale; su di esso corre un sentiero attrezzato con cavi d'acciaio, facile ma spettacolare, specialmente per chi apprezza queste opere ingegneristiche di altri tempi!


Il lunghissimo traverso va a unirsi con il sentiero 26, poco sotto ai ruderi del Casinello di Blumone (2092). Siamo ormai sul versante opposto del Cornone, anche da qui roccioso e incombente; l'ambiente comincia ad assumere tinte d'alta quota, i segni degli antichi ghiacciai ben in vista. Al primo bivio voltiamo a sinistra sul 27, che sale senza troppi complimenti verso il Passo di Blumone (2633).

Presso il Casino di Blumone


I prati lasciano progressivamente il posto alle pietraie, i ruscelli a pozze ghiacciate, mentre all'orizzonte cominciano a fare capolino le creste e le nevi perenni dell'Adamello. Anche sul versante nord del Cornone ci sono due nevai ben visibili, i motivi per cui abbiamo portato l'attrezzatura invernale. Dal basso sembra proprio che il sentiero per la vetta li attraversi...


Faticosamente raggiungiamo il passo: sotto di noi il Lago della Vacca, dietro le creste delle Orobie, il Bernina e lontano il monte Rosa. Mezzo panino, pile addosso per proteggersi da un leggero venticello, e intraprendiamo la via normale, fin da subito parecchio ripida.


Dopo un bel tratto di cresta panoramica, con qualche passaggio di I grado, vediamo finalmente la vetta con la croce. La traccia scende sullo sfasciumato versante nord, dove sorgono i due nevai. Scopriamo presto a che il sentiero li aggira da sotto... ok, picca e ramponi erano superflui, ma almeno proviamo ad attraversare sulla neve per non perdere quota!


Invece perdiamo solo tempo, siccome la neve è durissima, andare solo con la piccozza è un'inutile e pericolosa fatica, e di tirare fuori i ramponi per così poco non è proprio il caso. Ci rassegniamo a fare il giro da sotto e raggiungiamo un nuovo spigolo della montagna, affacciato a est.


Ormai soltanto roccette con passaggi di I e II grado ci separano dalla cima: l'assenza di montagne paragonabili in almeno tre direzioni garantisce un panorama sconfinato, con la pianura sommersa dalla nebbia, le Alpi retiche innevate e le Dolomiti lontane a est.


Sono le 15 e possiamo concederci solo una breve pausa: del resto il cielo si è andato coprendo di velature e non è poi così terso. Senza distrarci torniamo sui nostri passi fino al Passo di Blumone, dopodiché, lungo il comodo sentiero 27, discendiamo l'ampio pendio pietroso sotto la parete ovest del Blumone, raggiungendo il Lago della Vacca (2353).


Nei pressi sorgono il Rifugio Tita Secchi e l'ex rifugio Gabriele Rosa, che si sono scambiati i nomi. Passiamo sotto la massiccia diga, molto ben conservata, e proseguiamo fra formazioni di granito geometriche fino al Passo della Vacca (2359), importante crocevia di sentieri. Sotto di noi sprofonda la val Cadino, con la Corna Bianca piccola e lontana.


Le indicazioni non sono chiarissime: subito puntiamo una traccia che traversa sotto le Creste di Laione per poi scendere a valle con ampi tornanti; poi decidiamo di procedere in direzione del Passo di Valfredda su un tratturo in costa, costruito con enormi lastroni di granito. Abbiamo fatto bene, siccome dopo non molto troviamo il bivio per Malga Cadino a sinistra, e ripidamente ma non troppo scendiamo a valle.


Possiamo godere di un bel tramonto sul Cornone, che si accende di rosso quasi come una Dolomite; e arriviamo all'auto verso le 18.15, con gli ultimi bagliori di luce dell'ultimo giorno di ora legale: non si può dire che non lo abbiamo sfruttato a dovere!



Dati escursione
Punto di partenza: Malga Cadino (1800)
Punto più elevato: Cornone di Blumone (2842)
Dislivello in salita: 1200
Tempo totale di percorrenza: 9 ore
Grado di difficoltà: EE, passi di I grado sulla via normale al Blumone
Segnaletica: Buona, bolli e ometti sulla via per la cima, assente lungo la condotta dell'acqua
Punti d'appoggio: Malga Laione, Rifugio Tita Secchi (entrambi aperti solo in estate)