giovedì 15 gennaio 2015

Risalita della Val Codera, nel silenzio di ghiaccio e granito

Ci incamminiamo da Codera un po' prima delle 8. La giornata è magnifica ma sappiamo per certo che non vedremo il sole per molto tempo; la nostra intenzione è infatti risalire per il sentiero di fondovalle fino all'ora di tornare indietro: l'itinerario più banale ma anche il migliore possibile per farci un'idea della lunga val Codera nel suo insieme. (Leggi il racconto del primo giorno)

La borgata di Piazzo

Dall'arrivo della vecchia teleferica comincia una strada sterrata, a cui di tanto in tanto si affianca il vecchio tratturo seguito fedelmente dal sentiero Cai (nello specifico il Sentiero Roma). Passiamo una base scout Aquile Randagie dalla quale esce fumo prima e una giovane abbastanza carina e assonnata dopo: forse si è dormito troppo in rifugio e ora abbiamo le visioni?


Fatto sta che non siamo gli unici nell'alta parte della valle. Un personaggio strano che alloggiava/lavorava in rifugio è partito prima di noi in compagnia di un cane raccattato a Codera, e lo troviamo a meditare e fare foto su un balconcino in una casa di Saline; un altro ci sorpassa e sale a razzo su un sentiero ripido in un costone laterale.


Infine - la visione più inaspettata - un terzo uomo con una vecchia moto da enduro e zaino in spalla scende lungo la carraia dosando con attenzione le accelerate: ok, la Svizzera è qui vicino e la benzina là costa di meno, ma portarne una tanica a Codera non è certo una barzelletta! Come poi ci abbia portato su la moto (forse via Tracciolino?) sono misteri che richiedono troppo spazio per essere affrontati in questa sede.


Sempre ostinatamente all'ombra, continuiamo a risalire la valle, che ora ha cambiato aspetto: il fiume ci scorre più vicino, creando una forma a U tra versanti altissimi e scoscesi. Sembrerebbe di essere in una delle tante altre valli alpine, se non fosse per un qualcosa di apocalittico che traspare dai torrenti che solcano le brevi vallette laterali, simili a valanghe di pietra; lo stesso letto del Codera è una sterminata distesa di massi, sotto cui l'acqua scorre invisibile. Emblematica del resto la cura dedicata ai ponti, alti quelli di legno e molto robusti quelli di cemento, segno che qui i torrenti possono essere davvero arrabbiati.

Perimetri di vecchie case e orti, a Piazzo

Presso Stoppadura, a betulle querce e castagni sono ormai subentrati larici e abeti, e cominciano a vedersi le prime spettacolari cascate di ghiaccio. Bresciadega, dove sorge il rifugio omonimo, somiglia più a un villaggio turistico di baite che non a un paese vero e proprio. Grandi spiazzi erbosi, case di scout sugli alberi, un muschio rosso vivo che ricopre i ciottoli all'ombra.

Torrente ghiacciato e strano muschio rosso

Ci avviciniamo a uno snodo importante, dove il Codera riceve importanti torrenti tributari, più di pietre e ghiaccio che non di acqua. Al centro di un bel pianoro, fra alti abeti e una possente corona di cime innevate, sorge il rifugio Brasca, a un crocevia di sentieri che, attraverso passi tutti sopra i 2500 metri, permettono di raggiungere le valli Masino e Bregaglia.

C'è bisogno di una didascalia? secondo me no.

Alla nostra destra le montagne più basse e vicine al fondovalle si sono aperte come quinte a mostrare lo scenario glaciale della val Spassato o d'Arnasca: enormi cascate rimaste in letargo si sporgono da una balconata con al centro un blocco di granito ciclopico, sotto il quale la sagoma arancione del Bivacco Valli (1899) appare come un puntino (e ci vuole un buon occhio a vederlo!).


Alzando un poco lo sguardo, ecco la fortezza di granito dalla quale dev'essere crollato questo bastione rettangolare: pareti nere e lisce, piramidi di roccia e neve, canali ripidissimi che mettono freddo e strane idee solo a guardarli... a dominare la scena è il Pizzo Ligoncio (3032), l'unico tremila della nostra escursione.


Il progetto originale era di raggiungere il bivacco Valli: sono le 10.30, la giornata è ancora lunga, ma l'idea di affrontare la lunga salita tutta in ombra, col rischio di trovare ghiaccio (e siamo senza ramponi), non ci attira molto; il rientro all'auto poi è molto lungo. Così decidiamo di continuare a risalire ad oltranza il Codera lungo il sentiero A12 (Via Geoalpina dei Graniti), almeno fino al primo sole.


La traccia guada il rio dell'Averta, ghiacciato ma non troppo, poi si mantiene sulla sinistra orografica del torrente in un bel bosco di larici. Ci sorprende lo scorcio catastrofico della val Piana, nome forse ironico che sta a designare questa specie di frana ripidissima, costeggiata da abeti sradicati, che va a scaricare la sua rabbia nell'enorme letto del torrente Codera, qui somigliante a un ghiacciaio di pietre.



Ripari, o meglio tane formate da muretti a secco sotto rocce muscose sporgenti, una capanna diroccata e i segni bianco-rossi sono ormai l'unica traccia umana rimasta in questo ambiente primordiale. La valle è ancora lunga, il tempo passa, dobbiamo rassegnarci all'idea di non raggiungere alcuna meta significativa per oggi.


Ormai i raggi del sole, rimasti finora sul lato della valle opposto al nostro, sono arrivati a lambire il greto del fiume: è come un segno simbolico che ci invita a fermarci, anche per apprezzare un po' di tepore. Ancora tanta salita ci separa dai pendii poco innevati che portano alla bocchetta Teggiola e al passo della Trubinasca, possibili mete future, per oggi improponibili.


Il punto di arrivo nel greto del Codera

Mangiamo sui sassi del torrente, sordo d'acqua, e torniamo sui nostri passi godendoci il sole in faccia... Purtroppo per poco, siccome la mole del Pizzo Ligoncio torna presto a coprirlo avvicinandoci al rifugio Brasca. Fino a Piazzo rimaniamo all'ombra, ma appena torna il sole la temperatura si alza a picco, e la luce calda del pomeriggio riempie la valle e accende la sua roccia.

Ancora a Piazzo, splendida scalinata

Da Codera proseguiamo sul Sentiero Roma, che attraverso castagneti gole e maestà ci conduce ad Avedee: la piccola borgata, in posizione panoramica sui laghi, sembra sorvegliare l'imbocco della valle sul versante di fronte a San Giorgio, da cui siamo saliti ieri.

Avedee

Da qui in poi la discesa si fa ripida, lungo una scalinata di granito che sembra interminabile; di tanto in tanto lo sguardo cade nel solco profondissimo del Codera, che crea meandri insospettabili fra strani pinnacoli di roccia.



Il sentiero richiede attenzione siccome i gradini, lisciati dal passaggio secolare degli abitanti e di lunghe comitive di scout, sono scivolosi, e infidi se coperti dalle foglie. Vicino ad una cava incontriamo una caratteristica ruspa a cingoli, forse caduta da qualche astronave?

Siamo saliti con questo!

Arriviamo alla nostra macchina a ruote un secondo dopo che il sole si è nascosto dietro le montagne sopra il Lago di Novate, al termine di due giornate splendide, di escursionismo puro.

A presto val Codera!

lunedì 12 gennaio 2015

Da Novate a Codera per San Giorgio, Cola e Tracciolino: calpestando il passato

Ostinata, un tornante dopo l'altro, l'antica mulattiera risale il fianco della montagna; ora per boschetti pensili, ora nella roccia nuda. Cavi di linee elettriche e teleferiche sono tesi nel baratro, verso l'azzurro scintillante del Lago di Como e di quello di Novate Mezzola. Non si vede ancora da dove partano, ma è chiaro che qualcuno deve vivere lassù, sopra un ambiente tanto aspro e inospitale.

Lago di Novate Mezzola, a sinistra il monte Legnone

Viene da pensare a chi ha scolpito posato e calpestato per generazioni, fino a renderli lisci, i gradini di granito che noi risaliamo per piacere personale, sotto un sole del 4 gennaio che ricorda più quello di aprile. La "civiltà", con le sue strade asfaltate dritte, le sue case colorite, le sue macchine, si fa sempre più piccola sotto di noi, i suoi rumori sempre più fiochi. Saliamo.

La mulattiera che sale a San Giorgio

Finalmente raggiungiamo il culmine e l'angolo del contrafforte roccioso, ed eccoci di fronte la val Codera, coperta di boschi spogli e coronata da cime innevate, con in mezzo il paese che le dà il nome e gli altri nuclei di case sparsi dove la montagna concede un po' di respiro. E' un'altra civiltà che ci aspetta, radicalmente diversa da quella dove abbiamo lasciato l'auto a un'ora e mezzo di scale.

Primo scorcio sulla Val Codera

Attraversiamo un castagneto ben curato e siamo a San Giorgio, che dal sentiero non riuscivamo a intravvedere. Il borgo è adagiato su un prato pianeggiante con vista sui laghi, e dove il pendio comincia a scendere alcuni terrazzamenti forniscono nuovo terreno fertile. Attorno alla semplice, commovente chiesetta in sasso, con il campanile cuspidato e la piazzetta circondata da grandi alberi, si raccolgono le case del borgo, dove qualche famiglia vive ancora per tutto l'anno.


Ci fermiamo a mangiare un panino, corteggiati da due cani di certo abituati ai visitatori: pochi ma comunque presenti anche in questo periodo, un po' come gli abitanti. Un prato pulitissimo, con grandi massi lisci di granito, separa le due ali del paesino come una seconda piazza; lo tiene d'occhio una edicoletta gialla dipinta con Madonna e santi, la prima di una lunghissima serie di immagini sacre che incontreremo. Per vivere in una valle come questa è naturale sia necessaria una buona dose di fede!



Riprendiamo il cammino salendo la schiena del dosso su cui è costruito il paese, in un bosco misto di castagni e betulle. Poco sopra il paese c'è il piccolissimo cimitero, che visto da fuori sembra simile a tanti altri; poi però scopriamo che dentro non ci sono le tombe sparse, bensì una grotta ricavata in qualche modo sotto un masso gigante: manufatto che alcuni studiosi fanno risalire addirittura alle popolazioni celtiche.



Guadagniamo quota fino a immetterci nel sentiero chiamato Tracciolino, un'opera sorprendente costruita negli anni trenta per collegare la diga sopra Codera a quella sotto Frasnedo, in valle dei Ratti. Di fatto si tratta di un tracciato che si mantiene costantemente alla stessa quota (920 metri), tagliando i fianchi di montagne particolarmente scabrose, specialmente nel tratto che inizia proprio qui sopra San Giorgio.


L'ideale sarebbe percorrerlo in mountain bike, essendo il tracciato largo a sufficienza e sempre protetto da una balaustra di ferro; comunque anche a piedi fa la sua impressione! Le viste a picco sulla bassa val Chiavenna si susseguono, una galleria dopo l'altra; e dove lo spazio non bastava lo si è creato scavando il sentiero dentro la roccia.

Il tratto centrale del Tracciolino

A un certo punto confluiamo in una ferrovia, a quanto pare ancora in servizio: superiamo una lunga galleria (circa 300 metri, possibilità di accendere le luci con interruttore a tempo) e rivediamo il sole, ormai vicini alla valle dei Ratti. Qui il sentiero (e la rotaia) si biforca: a destra si scende a Campo Mezzola, a sinistra si prosegue verso Frasnedo. Noi torniamo indietro siccome la nostra destinazione è Codera e ormai sono le 14.30.


Seguiamo fedelmente il Tracciolino oltrepassando il profondo vallone del Revelasco, vinto grazie a un bel ponte tibetano. Quasi 2000 metri sopra di noi spiccano le nevi e il granito del Sasso Manduino, montagna meravigliosa e difficilmente accessibile, un obiettivo per il futuro? La luce calda del pomeriggio ci riaccoglie nei bei castagneti sotto il borgo Cola (1018), che raggiungiamo deviando a destra in salita dal Tracciolino.

Scalinata per Cola

Il paese è in una posizione invidiabile, e i tratturi costeggiati da muro a secco, le scale, le tante case ancora in sasso sembrano davvero farti sprofondare in un altro secolo. Un paio di camini fumano, alcune finestre hanno gli scuri aperti, anche qui qualcuno sfida il tempo e l'inverno (quello a dire la verità non deve essere certo una grossa preoccupazione al momento!).

Lago di Novate, in secondo piano la punta del Lago di Como

Con un vecchio sentiero scendiamo a riprendere il Tracciolino dall'altra parte del paese, e superato il solco della Val Grande lo abbandoniamo per un bel tratturo che scende a sinistra nei castagneti. Gli ultimi raggi di sole ci permettono di ammirare e fotografare meglio un'altra piccola borgata, sorretta da terrazzamenti: Cii è il suo strano nome, e leggenda vuole ci abitassero streghe.

Veduta di Cii

Siamo ormai prossimi a Codera, ma dobbiamo prima attraversare il torrente, finora lasciato sfogarsi fra profondissime, inviolate forre. Due ponti di sasso veramente arditi, e corredati dalle necessarie edicolette sacre, superano i torrenti Ladrogno e Codera: specialmente da quest'ultimo viene il capogiro a guardare giù nel baratro dove i due torrenti si uniscono esibendosi in cascate sorprendenti... pozze dove il sole batterà una dozzina d'ore in un anno.

Ponte sul torrente Lardogno

Dopo l'ennesima scala entriamo finalmente nel paese "capoluogo", che ci riserviamo di visitare dopo cena. Abbiamo prenotato al rifugio Osteria Alpina, gestito dall'associazione Onlus Amici della Val Codera, un gruppo di ragazzi che evidentemente si impegna tanto per fornire accoglienza agli escursionisti anche in un periodo come questo, dove evidentemente il ritorno economico è ben poco.

Codera, alle spalle l'omonima cima

L'accoglienza a dire la verità non è stata proprio calda, ma per fortuna le temperature sono miti... qualcosina da dire ci sarebbe anche sul menu a km zero sbandierato sul sito, ma del resto quando una locanda in pratica sta aperta solo per tre persone non ti puoi certo lamentare. Dopo cena facciamo una passeggiata in paese, alla luce della luna quasi piena da poco sbucata sopra il solito Sasso Manduino.

Sasso Manduino al tramonto

Sasso Manduino sotto la luna piena

Passeggiamo per i borghetti silenziosi, con poche finestre illuminate, e ci fa specie pensare che qui fino agli anni trenta vivevano circa 200 persone. La piazzetta della chiesa forse sarebbe stata animata, a quest'ora, con al centro un bel fuoco, qualche cantastorie vagante giunto fin quassù, magari un capo-scout inviso ai fascisti... o più verosimilmente la gente sarebbe stata già a letto in vista del duro lavoro che la aspettava il giorno successivo già all'alba!

La chiesa di Codera e il monte Legnone

Lo stesso vale anche per noi, domani si comincia presto e in rifugio non hanno certo orari da motel... 21.30 a nanna, fa fresco e sotto le coperte si sta bene, si è pure mangiato poco così niente odori sgradevoli: dovremmo trovarne più spesso di rifugi così! (anche di conclusioni di articoli, ma non vi preoccupate, il racconto...

...continua qui

domenica 11 gennaio 2015

Monte Ventasso, Anello dal Lago Calomone per Santa Maria Maddalena

Il Monte Ventasso si eleva fra le valli dell'Enza e del Secchia, ed è riconoscibile dalla pianura dell'Emilia occidentale per la sua forma di esile trapezio più alto sul lato sinistro; somiglia alla vicina e più imponente Alpe di Succiso, di cui si presenta come un avancorpo minore. Il versante più interessante per l'escursionista (ma non solo) è quello nord, dove è presente il Lago Calomone e una piccola stazione sciistica.

Panorama dal Ventasso verso l'Appennino reggiano

E verso le Alpi

Questo breve percorso ad anello, fattibile in mezza giornata per chi proviene dalle vicine Parma o Reggio, permette di raggiungere la panoramica cima apprezzando ambienti molto diversi fra loro. Adatto a tutti con terreno asciutto, diventa molto pericoloso in presenza di neve o ghiaccio, visti i pendii ripidi presso Santa Maria Maddalena.


Si può lasciare l'auto negli ampi parcheggi sotto il lago, dove è presente un albergo con ristorante e un grande campeggio, dopodiché si sale per carraia chiusa al traffico fino al vicino lago (1396), sulla cui riva c'è un rifugio aperto nei periodi di maggiore affluenza.

Lago Calomone

Si costeggia il lago sul lato opposto al rifugio, fino al bivio per Santa Maria Maddalena. Il sentiero attraversa la faggeta, passando alcune piccole torbiere e una grande sassaia da cui si scorge l'accidentato versante nord: qui nell'agosto 1990 un elicottero del Soccorso alpino partito da Parma si è schiantato a causa della nebbia, e i suoi quattro occupanti sono morti. Un cartello Cai indicante Charlie Alpha conduce nel luogo dell'incidente.

Pietra di Bismantova

Una breve salita fa guadagnare la spartiacque nord-est, su cui corre il sentiero 665 proveniente da Cervarezza. Imboccandolo a destra, si attraversa una ripida pietraia panoramica, seguita da alcuni canali rocciosi; una recinzione al lato del sentiero sempre largo dà un buon aiuto psicologico nei tratti più scabrosi, ma in realtà il rischio maggiore qui è la caduta di sassi.


In breve si raggiunge l'oratorio di Santa Maria Maddalena (1504), riadattato a bivacco. Da qui un sentiero segnato EE sale con decisione i ripidi prati sul versante est del Ventasso, superando un paio di pulpiti rocciosi. Raggiunto il crinale con vista a picco sul Lago Calomone, si raggiunge per terreno più facile la cima (1728, presente libro di vetta).

Santa Maria Maddalena

La discesa avviene per i prati a sud, con vista in primo piano sull'Alpe di Succiso. Compiendo un ampio giro (ma è possibile tagliare per i prati a destra) si raggiunge un'ampia sella pianeggiante sopra il lago, che si raggiunge brevemente per ripida discesa nel bosco, attraversando una zona umida. E' possibile anche proseguire dalla sella fino al Poggio di Salteria, e scendere al villaggio seguendo i tracciato della pista da sci.

Discesa verso il Lago Calomone

Punto di partenza: Albergo Lago Calomone (1380)
Punto più elevato: Monte Ventasso (1728)
Dislivello in salita: 400
Tempo totale di percorrenza: 3,5 ore
Grado di difficoltà: EE
Segnaletica: Ottima
Punti d'appoggio: Rifugio al Lago Calomone
Accesso stradale: Da Ramiseto seguire le indicazioni per Monte Ventasso, strada ripida e stretta ma pulita in inverno.
Note: Itinerario alpinistico con innevamento abbondante o ghiaccio.