domenica 22 marzo 2015

Salita del Canale Cambron al Monte Cavallo, sulla neve marmorea delle Apuane

Alpi Apuane e inverno. Un binomio che mi ammalia da tempo, stimolato da foto, racconti, quando non veri e propri libri sull'argomento: mi riferisco a Ghiaccio Salato, presentato presso la sede del Cai di Parma da uno degli autori un mese fa. Creste rocciose col mare sullo sfondo, pendii ripidissimi, ambiente severo rendono queste montagne intriganti già nella "bella stagione"; d'inverno - condizioni permettendo - le trasformano in qualcosa di fenomenale.

Cresta del Cavallo

Il Monte Cavallo racchiude in sé tutti gli aspetti migliori dell'incantesimo apuano. Già ci aveva respinti in un'uggiosa giornata di novembre, senza la neve; ora tentiamo di nuovo di avvicinarlo forti di un meteo perfetto, forse nel primo weekend dell'inverno 2014-2015 con condizioni adatte per fare alpinismo da queste parti.

Mar Ligure *

Il vero e proprio tifone abbattutosi sulla Versilia nei giorni scorsi forse ha seminato timore fra gli "apuanisti": ci sono soltanto due persone oltre a me e Mario in tutta la valle dell'Acqua Bianca, via di avvicinamento che abbiamo scelto per il nostro obiettivo, il Canale Cambron. Partendo dalla Val Serenaia avremmo risparmiato circa 200 metri di salita, ma le condizioni della strada (ufficialmente chiusa) ci hanno indotti a spostarci sull'altro versante del Pisanino.

Orme sulla via Vandelli
Superiamo Gorfigliano seguendo la strada per Vagli, e dopo tre tornanti, in prossimità di una grossa statua di marmo, imbocchiamo un buono sterrato che seguiamo per circa un km, parcheggiando in uno spiazzo appena prima di una catena. Da qui in poi la strada si fa più ripida, risalendo a tornanti un ravaneto di cava. Teoricamente dovremmo essere sul sentiero 36, ma non c'è alcun segnale... la cartina è poco chiara, vecchia, resa inattendibile da un paesaggio che qui cambia anno per anno.

Cercando il sentiero fra ferrivecchi e ruderi
Raggiungiamo un ampio spiazzo alla base delle Cave Scaglia, e ci si presentano tre alternative per proseguire: alla nostra destra prosegue la strada di cava, che costeggia prendendosela molto larga il versante est del Pisanino; a sinistra c'è un ripido ravaneto innevato, che invece se la prende fin troppo veloce; e un sentierino che sale a tornantelli nel bosco.

Cercando il sentiero fra sassi vecchi e ruderi di alberi

Optiamo per l'ultima soluzione, forse poco vogliosi di mettere subito i ramponi per poi doverli togliere... ce ne pentiremo, siccome le chiazze di neve durissima, i tanti alberi caduti, le foglie scivolose, il terreno comunque ripido renderanno la salita faticosa e complicata. Dopo tanto ravanare, ci immettiamo nel sentiero giusto, che probabilmente partiva più a monte dalla strada Gorfigliano - Vagli.

Il Cusna da un'angolazione nuova

Si tratta dell'antica Via Vandelli, sorretta da robusti muri a secco: un'ardita via di comunicazione costruita nel Settecento per collegare Modena con la Garfagnana e Massa, parte di un unico ducato unito dai matrimoni ma diviso dalle montagne. Seguiamo ora questo comodo sterrato, dove ci sono anche tracce di sci, e guadagnando quota entriamo nell'alta parte della valle, coperta da una bella faggeta.

Sentiero 36

La neve sul terreno aumenta passo dopo passo, siamo partiti un po' troppo tardi e il sole scalda, comunque ancora non si sprofonda. Poi fra le foglie finalmente sbuca il muso di un Cavallo, con in bella mostra, a destra della cima principale, il canale che ci accingiamo a salire: ripido quel tanto che basta, ben incassato all'ombra e coperto tutto di neve. La prima sensazione è quella di essere ancora in basso, molto in basso!

Il Monte Cavallo visto da est

Acceleriamo il passo, ansiosi ora di ramponarci, e lo facciamo poco sopra la fine dei faggi, presso un casolare in posizione dominante alla base del versante nord est del Cavallo. La via Vandelli, ormai irriconoscibile sotto la neve, proseguirebbe verso il Passo della Focolaccia, alterato dagli squarci delle cave; noi puntiamo dritti al canale sopra di noi, su pendii molto ampi con pendenze che cominciano a picchiare sulle gambe.

Sullo sfondo Tambura e Passo della Focolaccia

La neve anche al sole si mantiene dura; ma non ovunque, ad esempio vicino ad una roccia mi finisce la gamba in una tipica buca apuana, per fortuna poco profonda e non troppo tagliente! La pendenza aumenta avvicinandosi all'imbocco del canale, siamo ancora sui 45 gradi slegati e con un'unica picca. Ormai a sinistra ci fiancheggia la parete rocciosa della vetta principale, sulla quale cerchiamo le soste; e presso una sorta di grotta troviamo la prima, a chiodi e cordini.

Che goduria! *

Ci fermiamo a valutare il materiale e a prendere fiato, potendo apprezzare il bel pezzo di salita già percorso fino a qui. Saliremo in cordata, anche per toglierci un po' di peso dagli zaini! Lascio andare Mario da primo, che meglio di me sa come attrezzare le soste. La corda dà un appoggio psicologico non indifferente, e il tempo impiegato per attrezzare, salire a turno e recuperare è nettamente riguadagnato in termini di fatica mentale (e di conseguenza fisica); comunque il tempo passa e ci si stanca lo stesso, almeno io!

Primo tiro

Mantenendoci vicino alle rocce di sinistra, troviamo neve durissima, dove le becche delle piccozze usate in appoggio / trazione fanno leva che è un piacere. Attrezziamo tre soste, tutte sulle pareti a sinistra, con materiale non troppo vecchio ma che è sempre meglio integrare... così Mario può usare i suoi friend!

Secondo tiro *

Il tiro finale dà un po' più da pensare; stando sulla sinistra, vicino alle rocce dove la neve è migliore, la pendenza impenna a 55 gradi; a un certo punto conviene però attraversare il canale per non uscire sotto imponenti cornici di neve. Gli ultimi metri sono al sole, e leggermente meno ripidi... Mario arriva.
Terzo tiro con traverso a destra
"Vieni pure!" Sì che vengo, molto volentieri. La stanchezza rimane latente, la smania di sbucare di là e chiudere questa salita classica fa da motore a gambe e braccia. Sotto il sedere l'imbuto vertiginoso del canale, uno scivolone di 400 metri: la forza di gravità che spinge giù, la forza di volontà che spinge su, fra queste montagne repulsive, in cerca di emozioni che rimangano ancorate nel cuore come un fittone piantato in sosta che guarda il mare.


Ultimi colpi di piccozza, il sole torna a scaldarmi dopo due ore nel freddo del canale... finalmente sbuco fuori anche io! Il Brunelli se la gode spaparazzato al sole sopra la sua bella sosta, fra il bianco della neve e l'azzurro del mare.


Ma il Golfo della Spezia già lo conosciamo. Ciò che non conoscevamo, visto soltanto in foto o da molto lontano, è lo scorcio in primo piano sulla cresta del Cavallo, con la cima principale bianca e rocciosa che si staglia come la lama di un coltello contro il cielo.

La vetta principale del Cavallo
Basta un colpo d'occhio per capire quanto sia difficile salire di lì. Ora sono quasi le 14, la neve su quei pendii al sole deve avere mollato già da un po', la fascia rocciosa da superare prima della vetta sembra insormontabile... ci ripenseremo! La voglia di salire su una cima ci impedisce di fermarci a godere lo spettacolo che abbiamo di fronte, mangiare qualcosa e recuperare un po' di energia preziosa.


Se a sinistra non si va, proviamo a destra; la cima settentrionale (1888) sembra più abbordabile. Percorriamo un breve tratto di cresta portandoci sotto un risalto roccioso, che non ci fidiamo a superare senza assicurarci. Con un paio di friend Mario fa una sosta e prova a salire. Nel frattempo si alza il vento, ed è un vento freddo anche se il mare è qui a 15 km in linea d'aria.

Il tratto di cresta verso la cima settentrionale

La roccia è pessima, Mario fatica a trovare la via migliore, a me sorge il dubbio di non starci con i tempi e soprattutto con l'energia per salire e scendere di lì e poi dal canale... raggiunto il primo traguardo, la stanchezza rimonta tutta in una volta, e in luoghi del genere non sono concessi errori: il traguardo dev'essere sempre tornare a casa.

Il Canal Cambron
Comunico a Mario che è meglio voltare i passi prima che sia tardi, lo vedo d'accordo. Ci riportiamo con le corde all'imbocco del canale, il nostro aborto di tentativo ci ha fatto perdere almeno 40 minuti e ora non è più il caso di fermarci a mangiare, è ora di scendere. Non ci fidiamo di scendere senza corda, specialmente io, né di fare una serie di doppie su soste di cui non vogliamo testare la tenuta con troppa convinzione... per cui facciamo dei tiri all'inverso, dove il secondo a scendere (cioè io) ha la sensazione non troppo bella di essere recuperato dal basso.

Sole pomeridiano sulla Tambura *

La corda svolge più che altro il ruolo di sicurezza psicologica, di fatto con questa neve di marmo ancora in pieno pomeriggio piccozze e ramponi tengono quasi come chiodi. Il tempo passa, il freddo si fa sentire, e l'ultima sosta decidiamo di saltarla: scenderemo non assicurati con due picche dove non assicurati eravamo saliti con una piccozza sola. Ormai la stanchezza mi sta divorando, cerco di sincronizzare gli sforzi con il respiro ben sapendo che ora men che mai posso permettermi di cedere.

Tramonto sull'Appennino
Tre appoggi costanti danno più sicurezza, usarne due fa guadagnare tempo prezioso, ogni tanto devo fermarmi un poco a recuperare le energie sempre più esigue... piano piano arriviamo dove la pendenza si ammorbidisce, possiamo girarci faccia a valle e accelerare il passo verso il casolare dove ci eravamo messi i ramponi ormai 5 ore fa. Troppe, dobbiamo necessariamente velocizzare la nostra progressione!
Dopo il biroldo, via di porchetta!

Raggiunta la meta, fuori dalle difficoltà, possiamo fermarci a mangiare con tranquillità. Porchetta focaccia cioccolata tè e succo di frutta mi restituiscono una buona dose di vita dopo un'ora e mezza parecchio brutta... prendiamo con calma la carraia in discesa, dove la neve comincia a mollare; per raggiungere più in fretta la spianata delle cave scendiamo diretti per il ravaneto innevato, 100 metri comodi ripidi certo, ma ben poco in confronto al canale.


Il ravaneto
All'auto scopriamo che la catena è stata tirata e lucchettata; se avessimo parcheggiato oltre, sarebbe stato un discreto casino! Ripartiamo con le ultime luci del giorno, lo sforzo un po' esagerato che ho dovuto fare per scendere, forse non al massimo della forma, si farà sentire nel viaggio in auto e nel rientro a casa con 39 di febbre... e domenica niente canali!

Itinerario di salita
Punto di partenza: Cave dell'Acqua Bianca, 900 m circa
Punto più elevato: Sella (1800 circa) fra Cima Settentrionale e Cima del monte Cavallo
Dislivello in salita: 900
Tempo totale di percorrenza: 10 ore, molte meno senza legarsi o facendo le manovre più in fretta! 
Grado di difficoltà: AD -
Segnaletica: Scarsa
Punti d'appoggio: Nessuno
Accesso stradale: Da Gorfigliano seguire per Vagli e dopo tre tornanti imboccare una sterrata a destra (statua in marmo); seguirla fino a una catena con spiazzo per parcheggiare
Note: Le foto segnate con l'asterisco sono di Mario Brunelli

martedì 10 marzo 2015

Cascate nel Canyon del Bletterbach, la falesia di ghiaccio


Cascate di ghiaccio: un argomento al quale fino a poco tempo fa associavo etichette del tipo #temerario #estremo #fragilità #difficilissimo e chi più ne ha più ne metta: meglio limitarsi a qualche canale! Pensavo. Poi capita che qualcuno nella compagnia prova, gli piace, dice che in fondo non è così difficile e dà molta soddisfazione.

Primi passi di Montagnatore sulla cascata (foto di Mario)

Allora perché non provare? La mia nuova piccozza in fondo si presta, una seconda me la possono prestare: dopo un febbraio tutto sulle ciaspole, è tanta la curiosità di vedere come sono queste cascate ghiacciate. Come destinazione scegliamo il canyon del Bletterbach, in Alto Adige, sopra Ora: il timore della concorrenza ci spinge a partire presto, molto presto.

Luca Co

Varie peripezie legate al metano ci fanno perdere tempo, e giungiamo sul posto solo alle 8. Scopriamo con piacere che ci sono solo altre due auto parcheggiate oltre all'ammiraglia; fa piuttosto caldo, ma contiamo sull'effetto congelatore del canyon. Ci cambiamo in fretta e raggiungiamo il parcheggio innevato del Centro Visite. Qui scendiamo a destra nel bel bosco di abeti fino ad una ripida scala di ferro, che ci fa raggiungere il fondo della forra.

La traccia nel canyon

Il luogo è ammaliante, silenzioso: uno stretto corridoio coperto dalla neve, fra pareti rossastre talora strapiombanti, dove le acque del rio Hackenbach si creano spazio sospinte a valle da un inverno non troppo freddo. Ma per fortuna ci sono anche loro, mantenute immobili da un'inizio di primavera non troppo caldo: le cascate di ghiaccio.

Cascata al sole

Una fa bella mostra poco sotto l'arrivo della scala, ma è esposta a sud e non troppo guarnita; decidiamo di risalire il canyon, e subito dopo incontriamo un nuovo salto esposto a nord, piuttosto incassato e facile, occupato però da due arrampicatori appena arrivati; proseguiamo, fiduciosi di trovare altro ghiaccio, e il Bletterbach ci accontenta.

Le prime due cascate incontrate sulla destra salendo

Una cascata breve ma abbastanza articolata, con uno strato di ghiaccio che ci sembra abbastanza spesso: anche qui l'esposizione è favorevole, a nord, e la sicura comodissima. Ci prepariamo, sale per primo Luca che è quello con più esperienza su ghiaccio, e apre la cascata piazzando 6 o 7 viti. In cima trova una buona sosta su alberi con cordini (comunque integrata), e si cala. Essendo la via circa 25 metri, le mezze corde da 60 bastano e avanzano.

Aggiudicata!

Saliamo da secondi Mario ed io; il primo approccio è un po' violento: tendo a fare molta forza sulle braccia, tirando colpi da maniscalco per infilare il più possibile le piccozze nel ghiaccio... poi mano a mano scopro che è meglio sfruttare, dove possibile, i vari gradini e buchi naturali in cui la becca fa ottima presa. In generale comunque tendo a scaricare poco peso sui piedi, problema che del resto ho anche quando arrampico su roccia.

Mario

Il primo giro seguiamo il tracciato di Luca, che ha sfruttato il punto debole della cascata, cioè una sorta di diedro; l'uscita è meno pendente, con uno strato di ghiaccio più sottile e l'acqua che scorre sotto, poco rassicurante... Come seconda salita invece, forti della corda dall'alto, proviamo un'estetica candela sull'estrema sinistra della struttura.
Luca Ca

L'arrampicata qui è più sostenuta e verticale, facilitata comunque dai numerosi buchi; la vicina roccia sulla sinistra permetterebbero di crearsi un minimo di diedro, ma ci vietiamo di tirare ramponate sulla storia delle Dolomiti! Ricordo per l'appunto che il canyon è il principale parco geologico dell'Alto Adige (chiuso in inverno), e le stratificazioni di porfido, arenaria e infine dolomia, con annessi fossili, riassumono meglio di ogni altro luogo la formazione profonda di queste montagne speciali.

Verso il cuore del canyon

Risalendo il canyon poco sopra la nostra cascata, questi strati sono ben visibili in alte pareti, dall'aria più fragile del nostro ghiaccio; qui arriva un sentiero che costeggia il canyon da nord, passando vicino alla nostra sosta (una catena avverte del pericolo di caduta); recuperiamo le mezze corde e proseguiamo battendo traccia fino alla sosta dell'altra cascata esposta a nord, quella che stamattina era occupata.

Sullo sfondo la vetta del Corno Bianco, che domina il Bletterbach

E lo è anche ora, ma per poco. Ci concediamo un panino al sole, nel frattempo spuntato, finché la via si libera. Decidiamo di attrezzarla dall'alto, scendendo i due Luca in doppia e lasciando Mario in sosta ad assicurarci. Le difficoltà sono decisamente inferiori, si tratta quasi di un canale... il ghiaccio però è più spesso e compatto, e l'uscita pressoché verticale.

Luogo perfetto per imparare

Mentre arrampichiamo sentiamo spiccozzate provenire dalla nostra sinistra, dove c'è una candela decisamente più ostica rispetto alla nostra via: un signore silenzioso sta salendo senza alcuna assicurazione... la cosa fa molta impressione a pensarci, evidentemente il soggetto deve avere molto feeling, o, se vogliamo parafrasare, due cojoni duri come er ghiaccio.

L'interno di una cascata

Arrivati in cima, Mario si cala e risale a sua volta, preceduto dall'ice climber solitario, che si sta collezionando tutte le cascate del canyon salendo e scendendo col sentiero. Anche noi faremmo volentieri la candela, ma l'alberello su cui è attrezzata la sosta non ci ispira troppa fiducia... poi cominciamo a sentire un po' la stanchezza e non ci sembra il caso di buttarci ora sulla via più difficile della giornata.

Un po' di pubblicità! (foto di Mario)

Scendiamo dunque col sentiero, concludendo anche un piccolo anello attorno a questa parte centrale del Bletterbach. Sia sopra sia sotto dev'esserci molto altro da scoprire, tra rocce vecchie migliaia e migliaia di anni e giganti di ghiaccio pronti a sparire da una settimana all'altra... per ora andiamo in pellegrinaggio al grande santuario di Pietralba, a ringraziare Dio di non avere rotto il ghiaccio subito (o forse solo per una birra fresca? Lascio il beneficio del dubbio ai lettori), ma certo è che torneremo!

Santuario di Pietralba

domenica 8 marzo 2015

Val Contrin, con le ciaspole al cospetto della Marmolada

Anche domenica parcheggiamo di fianco alle auto degli sciatori; questa volta però abbiamo tutti le ciaspole. Lasciamo fare su e giù alla possente funivia di Alba/Ciampac, e ci defiliamo subito sulla strada per la val Contrin che parte a pochi passi dalla partenza dell'impianto. L'inizio è ad ampi tornanti, con la possibilità di tagliare seguendo il sentiero senza mai trovare pendenze proibitive.

Veduta di Penia

Oltre la Baita Locia de Contrin la valle si fa ariosa e pianeggiante, regalandoci qualche scorcio sulle crode tutto attorno a noi, coperte non solo di neve ma anche di nubi. I tanti abeti sono leggerissimamente spruzzati dalla poca neve caduta questa notte, sembrano alberi di natale tirati fuori da qualche baule in soffitta, pieno di polvere biancastra e profumata.


Il terreno è quello ideale per ciaspolare in tutta tranquillità, alternando tratti di bosco ad ampie radure panoramiche, su cui compare anche qualche tavolino. Stranamente però siamo gli unici escursionisti con le racchette da neve oggi (come ieri del resto!). Oltre un ponte, si riprende a salire senza troppa fatica, superando il rifugio Baita Cianci per poi arrivare dopo un ultimo strappo al pianoro occupato dal rifugio Contrin ed edifici annessi.

Baita Cianci

Le nuvole sembrano per un attimo diradarsi, dietro le tegole compaiono sprazzi di dolomia e di neve, forse le cime dell'Ombretta Cadine che chiudono la valle a sud... purtroppo della Marmolada vera e propria, con la sua parete possente che da qui dovrebbe sbucare, non c'è alcuna traccia. Non sembra esserci traccia neanche di esseri umani, per cui prendiamo posto nel comodo e pulitissimo bivacco invernale.

Non è la foto di prima zoomata, bensì il rifugio Contrin

Abbiamo il pranzo ma siamo praticamente senza acqua, il ché non è il massimo se si mangia speck e formaggio. Così ci dilettiamo nello scaldare sulla stufa un pentolino pieno di neve, che ci mette un po' di tempo a sciogliersi ma alla fine assume un bell'aspetto. Peccato che invece del tè ci infiliamo due belle buste di camomilla, per digerire sogni d'oro in discesa!

Corso di sopravvivenza LuCai

Alla fine del weekend, beffardo torna il sereno, regalandoci l'immagine da cartolina del Sassolungo che taglia le nubi con le sue guglie. Prima dell'inizio della discesa optiamo per una digressione, in modo da dare almeno una parvenza di anello al nostro giro: vogliamo percorrere in discesa il 602a, che scende a Penia mantenendosi sul lato opposto della valle rispetto alla sterrata.

Saslong

Quasi subito il sentiero si dimostra poco piacevole per le ciaspole, siccome stretto, in costa e non bene innevato; ma ecco che sotto il nostro naso si manifesta una soluzione drastica: il percorso di una condotta dell'acqua, ripido ma non troppo, che per forza dovrà condurre a valle nella maniera più diretta. Peccato che anche qui il manto nevoso sia scarso, e numerose rocce affiorano facendo un po' soffrire le ciaspole costrette a scivolare sul terreno ripido.


In qualche modo riusciamo ad arrivare tutti giù a valle, meno in fretta di quanto previsto ma senza esserci fatti del male. Ci concediamo una birra e un giretto a Canazei, dove scopriamo un negozio di abbigliamento e attrezzatura da montagna molto ben fornito, e pericoloso pure lui... giusto un paio di calze e via! Rientro in auto lungo ma in buona compagnia. Grazie a tutti i partecipanti e in special modo a Paola per questo piacevole weekend fassano, un po' in controtendenza!


martedì 3 marzo 2015

Ciaspolando nei boschi del Passo Lusia, fra piste e baite

Nato sotto il segno delle Ciaspole: è il caso di dirlo riguardo a questo Febbraio 2015, in cui l'inverno, almeno in Appennino, ha significato principalmente neve su neve su altra neve. Questo weekend però decidiamo di tradire le nostre montagne per passare un weekend a Moena, grazie alla gentilezza e ospitalità di Paola.


Sabato ci dividiamo equamente fra sciatori e ciaspolatori: io entro fra i secondi, un po' per filosofia ma più che altro per pura convenienza economica! Poi fare da guida a due ragazze è senz'altro meglio che arrancare e tirar signori dietro a tre signori. Come location scegliamo la skiarea di Moena Passo Lusia (scusatemi il surplus di termini in inglese, la smetto subito).


Lasciamo le auto nel parcheggio di Passerella, dove parte la cabinovia, e mentre Francesco Fabio e Giancarlo cominciano a sciare, con Sarah e Paola ci fermiamo all'arrivo del primo tronco, a Valbona (1700). Il tempo purtroppo non è dei migliori: sta nevischiando e le nuvole coprono in gran parte le grandiose montagne di fronte a noi... comunque la visibilità è buona, si può tranquillamente ciaspolare!


Il problema piuttosto è attraversare le piste senza farsi falciare... siamo gli unici con le ciaspole, sguardi incuriositi infastiditi increduli ci investono, ci sentiamo fuori luogo: meglio spostarci in fretta! Con un po' di fortuna e grazie alla dettagliatissima cartina Tabacco (le altre marche vanno bene per arrotolare sigarette) troviamo al primo colpo l'imbocco del sentiero 625, che lungo un traverso nel bosco ci porta brevemente al rifugio Rezila (1761).


Siamo all'imbocco di una vallatina esposta a nord, e di neve ce n'è più di quanto sembrasse guardando dal fondovalle i campi verdi del Rosengarten. I cartelli ci indicano il Passo Lusia a un'ora, e ci incamminiamo su una comoda e ben battuta carrozzabile, mai troppo ripida, che risale la valle passando vicino a caratteristiche baite in legno coperte dalla neve.


Finché rimaniamo nel bosco di larici e abeti il maltempo non ci dà noia; ma una volta in prossimità del valico gli alberi finiscono e il vento sferza freddo, senza ostacoli, con tutto il suo corredo di fiocchi di neve. Purtroppo il famoso scorcio sulle Pale di San Martino possiamo soltanto immaginarcelo, o andarlo a vedere nelle foto del rifugio Passo Lusia (2055), dove entriamo senza farci grossi problemi per aspettare gli intrepidi infreddoliti sciatori e pranzare in compagnia.

Inutile procedere sul versante di Bellamonte; decidiamo piuttosto di scendere seguendo un percorso diverso, sull'altro lato della valle rispetto a quello da cui siamo saliti. Dal passo comincia il sentiero 632, che non è battuto: dopo la prima parte in discesa fra pini bassi, cominciamo a costeggiare il lato est del panettone su cui arriva il secondo tronco di cabinovia (a Le Cune, 2300).

Attraversiamo tre canaloni non molto ripidi, ma con piante sradicate che testimoniano la pericolosità del luogo dopo nevicate molto abbondanti. Forse non è un caso se sono passate solo bestie... ma del resto abbiamo capito che qui le ciaspole non sono di moda. Oggi verosimilmente non c'è alcun rischio, ma procediamo comunque con cautela e senza fermarci troppo.

Giunti in vista della cabinovia, decidiamo di tagliare nel bosco, che nel frattempo si è fatto meno ripido, in modo da tornare direttamente al rifugio Rezila senza attraversare piste. Alcuni caprioli fuggono sotto di noi, e oltre alle loro impronte troviamo piccole chiazze di prato che loro o altri devono aver liberato dalla neve per cercare cibo.

Fuggono i caprioli, arrivano i caproni, pronti a liberare nuove strisce di sottobosco lasciando correre le ciaspole in discesa. Nessuna pietà per gli scialpinisti, che comunque sembrano aver disertato questo divertente boschetto dopo l'ultima nevicata... Abbracciato più o meno dolcemente qualche tronco (non di cabinovia, in questo caso biologico) ritroviamo la carrozzabile poco sopra al rifugio, e la seguiamo in discesa anche oltre, prendendocela comoda.

Con il segnavia 622 arriviamo a incrociare la pista nera 100 metri comodi sopra il parcheggio... c'è pure il tempo di godersi un paio di muri, naturalmente a lato della pista, dove la neve si è ammucchiata e permette alle racchette di scivolare meglio. Stamattina abbiamo preso anche noi l'impianto, avremo diritto a scendere come gli altri no?

Punto di partenza: Valbona (1700)
Punto di arrivo: Parcheggio Cabinovia Moena (1389)
Punto più elevato: Passo Lusia (2050)
Dislivello in salita: 450
Dislivello in discesa: 800
Tempo totale di percorrenza: 4 ore 
Grado di difficoltà: EI (Attenzione al sentiero 632 in caso di pericolo valanghe alto)
Segnaletica: Buona
Punti d'appoggio: Rifugio Rezila (chiuso in inverno), Rifugio Passo Lusia
Note: Informarsi sugli orari della cabinovia, che consente di risparmiare un po' di salita