martedì 28 luglio 2015

Monte Disgrazia, via normale. La sottile cresta rossa in mezzo al granito

Data uscita: 11 e 12 Luglio 2015
Punto di partenza: Parcheggio Preda Rossa (1955)
Punto più elevato: Monte Disgrazia (3678)
Dislivello in salita: 1700
Tempo totale di percorrenza: 1,5 / 2 h da Preda Rossa al rifugio Ponti; 4 - 5 ore dal Rifugio Ponti alla vetta; 4 - 5 ore per la discesa al parcheggio
Grado di difficoltà: PD+: ghiacciaio, pendio a 45°, cresta esposta con passaggi di II e traversi su neve
Punti d'appoggio: Rifugio Ponti (2559), bivacco Rauzi presso la vetta
Periodo consigliato: Inizio estate
Note segnaletica: Ottima Cai fino al rifugio Ponti, ometti fino al ghiacciaio, poi tracce
Accesso stradale: Da Cataeggio seguire le indicazioni per i Rifugi Scotti e Ponti; la strada è percorribile acquistando un permesso giornaliero di 5 euro, in vendita nei bar della valle.
Note: foto con asterisco di Mario Brunelli

Sulla cresta ovest *
Quanti sguardi, nelle mattinate serene, tesi a scrutare i particolari di quelle cupole di roccia e neve ordinate in fila da nord a ovest, a dare una misura, un senso alla pianura. Dopo averle tanto guardate, ho imparato a riconoscerle, almeno le più importanti: il Disgrazia ad esempio appare massiccio, isolato, più vicino rispetto ai ghiacciai del Bernina alla sua destra.

Disgrazia al tramonto *

Da tempo con Mario attendevamo l'occasione di compiere un'escursione impegnativa in alta quota, il più possibile completa, senza andare oltre alla nostra - e specialmente mia - scarsa esperienza. Il Disgrazia è stata una scelta un pizzico ambiziosa: abbiamo accusato la fatica, la tensione dei lunghi tratti delicati, forse anche la quota; ma è valsa la pena di spingersi vicino ai propri limiti per godere degli scenari grandiosi tutt'attorno e sotto di noi.


Avevo già ammirato dal basso il Disgrazia questa primavera, nella cornice incantata della val di Mello; questa volta, volendo salire dalla via normale, lo rivediamo improvvisamente in fondo alla valle di Preda Rossa, risalita dalla lunga e ripida strada di Sasso Bisolo.

Valle di Preda Rossa

Già a pochi passi dal parcheggio (1955 m) ci si presenta uno scorcio a dir poco straordinario: siamo all'inizio di una grande piana, fiancheggiata da boschi di larici; sulla nostra sinistra si innalzano cime grigio scure di granito, a fare da spartiacque con la val di Mello; a destra invece le montagne appaiono rossastre, formate da rocce chiamate serpentini: sono i Corni Bruciati e la lunghissima cresta di Cornarossa, diretta al Monte Disgrazia, il quale chiude la valle dominando il ghiacciaio di Preda Rossa.

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Attraversiamo la piana su un comodo sentiero pianeggiante, ideale per fare amicizia con i nostri zaini davvero pesanti. Sono quasi le 18, ma il caldo è soffocante nonostante i 2000 metri di altezza. Ce ne accorgiamo quando il sentiero comincia a salire, costeggiando il fiume freschissimo che sgorga dal ghiacciaio, e si getta nella piana sotto di noi dove si riposa in uno splendido gioco di anse.

Acqua di fusione di ghiacciaio, e si apprezza!

Oltrepassiamo un altra breve piana alluvionale, per poi salire con più decisione su un dosso erboso sulla destra orografica del fiume. Gli alberi terminano, ma l'aria mano a mano si fa più fresca, il paesaggio attorno a noi cambia le sue tinte pacate per assumere quelle tipiche degli anfiteatri glaciali racchiusi fra le cime granitiche del Masino.

In arrivo al rifugio Ponti

Al rifugio Ponti (2559 m) arriviamo verso le 19.15, giusto in tempo per la cena. Ci sono più persone di quante pensassi, tutte (o quasi) con in programma il Disgrazia per domani. Alle 21.45 siamo gli unici a non essere ancora andati a letto, godendoci le ultime luci del tramonto dietro le Orobie, e i massi di granito sotto il rifugio ancora tiepidi del sole raccolto tutto il giorno.

I Corni Bruciati, sulla sinistra il Disgrazia

Il Ponti è una struttura nuova e accogliente, dotata di tutti i servizi, i letti a castello posti lungo un corridoio e separati uno dall'altro da pannelli in legno. Già alle 3.30 si comincia a sentire il formicolio di chi vuole partire presto; ma poco dopo le 4 la sveglia arriva inesorabile per tutti: il rifugista attacca il generatore e luce fu per tutti i corridoi!

Forse forse si dormiva anche fuori! *

Colazione spartana, e alle 5 siamo in cammino, con la stessa luce fioca di 7 ore prima. Costeggiamo i pendii detritici alla destra del rifugio, attraversiamo il torrente su un ponte di neve e subito dopo saliamo decisamente a sinistra (indicazione monte Disgrazia su un masso, proseguendo si raggiunge invece l'ex rifugio Desio.)


Rimontiamo una sorta di cresta morenica, formata dagli sfasciumi accumulati sul suo lato sinistro dal ghiacciaio di Preda Rossa. Il sentiero risulta molto comodo e con il fresco del mattino procediamo di buon passo, nonostante gli zaini siano ancora pesanti. Il Disgrazia con il suo ghiacciaio un po' agonizzante esposto a sud, sembra aspettarci pazientemente, mentre alle sue spalle fa capolino la luce rosa dell'alba.

L'evidentissima traccia sui depositi morenici. Orobie sullo sfondo *

Attorno alle 6.15, preceduti da altre due cordate, raggiungiamo il ghiacciaio. E' la prima volta per me sulle nevi perenni, e mi sorprende subito l'aspetto a ondine del manto bianco, sembra uno di quei pannelli per insonorizzare le sale prove... Con Mario attrezziamo una conserva a 10 metri, forse un po' accademica vista la traccia marcata e le pendenze moderate, ma a nostro giudizio necessaria in un ambiente simile.

Ghiacciaio di Preda Rossa. Sulla destra il canale Schenatti, dietro Mario il "canalino" della normale

Un gruppo nutrito di tedeschi presenti al rifugio nel frattempo ci supera, un altra cordata diretta al Canale Schienatti è poco dietro di noi. Sembrano tutti formichine che salgono piano piano a zig zag nel ghiacciaio tutto in ombra. La traccia si mantiene abbastanza vicina alle rocce sulla destra orografica del ghiacciaio, che aumenta progressivamente di pendenza (circa 30°) fino ad una piana posta sotto la Sella di Pioda, con una striscia ordinata di rocce in cresta che ricorda le barriere artificiali di scogli. Poco sotto c'è la terminale del ghiacciaio, ben coperta di neve ma riconoscibile dall'alto.

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Notando che nessuno affronta la cresta direttamente dalla sella, ma tutti salgono dal primo breve pendio-canale - riconoscibile per un masso al centro - decidiamo di fare così anche noi. Man mano che saliamo capiamo il motivo per cui le formichine si muovevano tanto piano sul ghiacciaio: la progressione è faticosa, forse anche la quota si fa sentire... è solo la quinta volta per me oltre i 3000.

La vista si apre sulla val di Mello *

Per raggiungere il canale, una volta che la pendenza cala la traccia traversa decisamente a destra, per poi impennarsi fino a circa 45 gradi poco prima dell'uscita, con un delicato passaggio su rocce marce... chissà come mai nessuno, e dunque nemmeno noi, ha pensato di aggirarle da destra? Le strane mode arrivano fino a quassù!

Il pendio e l'inizio della cresta ovest

Il canale sbuca in un caratteristico colletto (circa 3400 m), affacciato sul baratro del versante nord, con la ben più severa e crepacciata Vedretta del Disgrazia. Una successione di creste meravigliose la circonda, e sullo sfondo compare finalmente il gruppo del Bernina, con i suoi ghiacciai e i suoi picchi apparentemente inespugnabili.

Versante nord del Disgrazia e cresta della Corda Molla

Sono circa le 9, abbiamo tutto il tempo di affrontare con calma il tratto più delicato della salita, cioè la cresta nord-ovest, percorsa dalla via normale. Sono caratteristici i segni dei ramponi sulle rocce, che fanno come da guida verso la cima in un ambiente decisamente poco addomesticato, senza alcun segno di vernice od ometto di pietra. Ma gli uomini in carne ed ossa oggi salgono e scendono numerosi, godendosi la calda giornata di sole.


Continuiamo a salire in conserva, sfruttando di volta in volta i numerosi spuncioni come assicurazione più psicologica che altro. Quasi tutti salgono slegati, ma in certi punti occorre davvero molta sicurezza, vista l'esposizione notevole, le rocce non sempre ferme, qualche passaggio di I e II grado.

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La tentazione di togliersi i ramponi è forte, ma sappiamo che a 3500 metri non si può... e facciamo bene, siccome incontriamo tre traversi, di cui uno ghiacciato e particolarmente insidioso che preferiamo superare uno alla volta con mezzo barcaiolo e soste improvvisate.

Il traverso chiave

Il tempo vola, la cresta è lunga, il fiato e le gambe non sono più quelle di stamattina... ciononostante la concentrazione va tenuta sempre al massimo, anche perché l'errore di uno - spietata legge della conserva - coinvolge anche l'altro; responsabilità, pazienza nel cercare gli spuncioni giusti e i passaggi più sicuri... in questo Mario all'andata si dimostra più diligente che non me al ritorno!

Tratti di I grado, sullo sfondo il traverso di prima *

Dopo il traverso delicato (sul versante Preda Rossa) una lunga salita con tratti sostenuti di I e II ci riporta sul filo di cresta, con un passaggio davvero esposto e adrenalinico. Nuovo traversino su neve, nuova salita su sfasciumi e finalmente raggiungiamo l'anticima. Dalla vetta vera e propria ci separa un gendarmotto alto 4 o 5 metri piantato giusto in mezzo alla esile cresta.

La vetta vista dall'anticima. Davanti a Mario l'ostacolo finale

Sono tre o quattro movimenti su prese buone e tacchette adatte ai ramponi, ma è comunque un III grado esposto a 3600 metri, e preferiamo farlo in sicura! A questo punto la vetta è a un passo, tutte le cime dell'alta Valtellina rimaste nascoste sfilano di fronte a noi, mentre dall'altra parte le cime fra val Masino e Bregaglia, regno del granito, sconcertanti se viste dal basso, appaiono così piccole da quassù.

Gruppo del Bernina *

Verso sud est nuove creste rosse si dipanano, piccole vedrette, laghi di un azzurro preziosissimo... la vetta è piccola, siamo una decina scarsa di persone, bisogna sfruttare bene gli spazi: e fa uno strano effetto quando vedi tanto spazio tutto attorno!

Verso est

Se ci fosse una giornata tersa probabilmente vedremmo quasi tutte le Alpi e l'Appennino settentrionale; l'occhio invece riesce a spingersi più lontano verso nord, con i picchi e i ghiacciai svizzeri a noi del tutto sconosciuti.

L'aria è leggera!

Sono le 11 passate, la cresta ci ha richiesto molto tempo e ora bisogna scendere con la stessa, se non maggiore attenzione. Il cielo sta anche cominciando ad annuvolarsi, e preferiamo non correre il rischio di riattraversare il ghiacciaio con la nebbia.

Discesa laboriosa sopra le nuvole *

Forse una sosta più lunga avrebbe giovato, siccome dopo metà cresta comincio a sentirmi poco bene. Mi rendo però conto di quanto sia importante uscire in fretta dalle difficoltà, quindi cerco di raccogliere tutte le energie per arrivare al colletto.

La vedretta del Disgrazia (sotto la parete nord)

Qui però necessito di una pausa, provo a inghiottire qualcosa e tolgo il casco che mi dà un po' fastidio. Però c'è vento, il vento porta il freddo, fermarsi a lungo è improponibile, anche perché quasi tutti ormai sono già scesi. Così percorriamo a ritroso il pendio breve ma ripido, affondando le mani nella neve ormai molle, testando tutta la permeabilità dei nostri guanti.

Il pendio-canale in discesa *

Il peggio è passato, la pendenza cala, per fortuna non c'è né la nebbia né il sole battente sul ghiacciaio. Possiamo riprendere di nuovo il fiato. Faccio per togliermi il casco e scopro che invece ho in testa solo la cuffia... il cervello è rimasto sul colletto insieme al casco rosso, compagno di tante salite!

Serpentiniti in mezzo al granito, anche i caschi faranno loro compagnia

Pazienza, ormai su non ci torniamo più di sicuro. Scendiamo fino al limite del ghiacciaio, vogliosi di toglierci imbrago e ramponi che cominciano a pesare. Sono decisamente stremato, provo a coricarmi ma il malessere non passa... Mario che sperava di fermarsi a mangiare qui, deve cambiare i suoi programmi appena mi metto a vomitare di brutto sulla neve, quasi un gesto di sdegno verso la discesa e il furto del casco!

Il Disgrazia incappucciato

Avendo già avuto anni fa una brutta esperienza in alta quota, preferisco spostarmi in fretta verso il rifugio, dove nel caso avrei più possibilità di essere soccorso. Così ho anche una scusa per sbolognare a Mario la corda, che all'andata era spettata a me! Le vomitate si sono rivelate un toccasana, e mano a mano che scendo ritrovo le energie. Arriviamo al rifugio e mangiamo i nostri panini rimasti nello zaino, ora è Mario che patisce forte mal di testa... io mantengo però un diritto di precedenza, essendo stato peggio e dovendo guidare fino a casa, quindi gli tocca tenersi la corda, su uno zaino arricchito anche dal materiale recuperato in rifugio!


Nello scendere, dopo il freddo patito sul ghiacciaio, ci godiamo il caldino via via superiore; fissiamo con trepida attesa la piana con il fiume, aspettando di pestare qualcosa di morbido, di pianeggiante! Fa specie che quando sei in pianura o in fondovalle hai tanta voglia di salire in quota, e una volta salito in quota fremi di tornare giù... piacer figlio d'affanno! Una volta in coda fra Lecco e Milano però non avremo dubbi su dove si stava meglio.

Come il fiume, torniamo sempre a valle

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