martedì 5 gennaio 2016

Canale nord del Pizzo Recastello, salita da Valbondione con bivacco invernale al rifugio Curò

Alpi Orobie: il nome deriva da quello di un popolo molto antico, gli Orobi, che ne abitava le pendici: come i liguri Apuani con le Alpi Apuane. Gli Orobi, secondo Plinio il Vecchio, fondarono secoli prima dell'avvento dei romani la città di Bergamo; e la stessa Bergamo negli ultimi decenni è ingrassata tanto da lambire i due principali fiumi orobici, Brembo e Serio, le cui lunghe vallate costituiscono le porte d'ingresso principali di queste montagne.


Orobie, Rosa e Cervino

Così è da Bergamo che passiamo, intravvedendo fra un tunnel e una barriera sonora le torri della città vecchia abbarbicate sull'ultimo lembo collinare di Orobie. Poi ci infiliamo nella val Seriana, palazzoni e fabbriche via via più radi, le montagne dal finestrino sempre più imponenti. Ma di neve neanche a parlarne!

Canale nord del Pizzo Recastello, prima parte
 
Pian piano sul prudente Cubo di Alberto arriviamo fino a Valbondione, dove la strada asfaltata non ha più il coraggio di proseguire, stringendosi la valle ad imbuto sotto due pizzi troppo ingombranti: il Redorta e il Coca. Stanno uno affianco all'altro, gli unici due tremila delle Orobie; e incombono sull'alta valle con salti verticali nell'ordine dei chilometri.

Pizzo Coca

Non sono propriamente pareti rocciose, bensì pendii ripidissimi di erba mista a roccia bruna/rossastra dall'aspetto tutt'altro che rassicurante. Appollaiato su uno sperone come un gipeto, il rifugio Coca ci osserva mente saliamo verso l'ostello Curò; noi invece cerchiamo di mettere a fuoco le sottili linee di neve che solcano la parete retrostante, dirette verso la punta Scais, la Fetta di Polenta, il Redorta stesso. E poco importa se siamo diretti da tutt'altra parte!

Discesa dal Pizzo Recastello: a sinistra Redorta, Scais e Coca
 
Il sentiero 305 sale dolcemente con ampi tornanti, su cui ci godiamo in maglietta l'ultima ora di sole. Alla nostra sinistra le magrissime cascate del Serio, pronte a sfogare a comando tutta la loro potenza quando la diga del Barbellino viene aperta, richiamando sui ripidi prati attorno una quantità insospettabile di gente; anche in questa domenica pomeriggio a dire il vero incontriamo molte persone che scendono, chi con le piccozze chi senza, i più con cane al seguito.

Avvicinamento

Al Curò arriviamo con l'ultima luce, e troviamo quasi subito il locale invernale. La prima buona notizia (non scontata di questi tempi) è che siamo gli unici ospiti, la seconda è che c'è la luce elettrica! Il locale è confortevole, con sedie, un bel tavolone e sei letti con coperte in abbondanza. La luce elettrica toglie un po' l'atmosfera da bivacco - ma che ne so io, è la prima volta che ci passo una notte? - ma fa comodo, specialmente in questo periodo in cui le ore di buio superano quelle di luce.

Tratto attrezzato facile, sullo sfondo il Coca

Menu a base di parmigiano, risotto ai funghi liofilizzato e simmenthal, con anche il lusso di un po' di birra... ce n'è abbastanza per essere sazi senza russare troppo. Per la notte sfodero un pezzo d'antiquariato, una sorta di tuta in pile fuxia molto anni 80, recuperata dall'armadio delle cose dimenticate di mio padre; mi aspettavo facesse un caldo micidiale, invece patisco freddo quasi tutta la notte. Per fortuna le temperature sono tutt'altro che rigide!

Nel locale invernale:
Alberto alle prese col telefono su cui chiamano per chiedere se è aperto l'ostello!

Al mattino alle 7 fa ancora buio: il chiaro di luna accende la sagoma massiccia del Pizzo Recastello rendendo più romantico il disbrigo dei bisogni corporali. Colazione senza fretta, e lasciato il peso inutile al bivacco, partiamo col cielo ormai chiaro, e il sole che inizia a lambire le cime di Redorta e Coca rispecchiate nel lago del Barberino.

Lago Barberino, Redorta e Coca

Lo costeggiamo fino al bivio con un sentiero diretto al monte Gleno; guadagniamo velocemente quota sui prati fino a una costiera rocciosa sulla nostra destra. Una debole traccia ci permette di superarla trovandoci davanti all'imponente versante nord del Pizzo Recastello, con al centro il canale che andremo a risalire.

Versante nord del Pizzo Recastello, percorso di salita in rosso
 
La neve inizia ad una quota di circa 2300 metri, ed è dura al punto giusto; risaliamo agevolmente l'ampio pendio, ancora poco ripido, che si impenna soltanto in prossimità di una conca; a sinistra una goulotte sale fra un gendarme roccioso e il corpo principale della montagna, mentre noi puntiamo a una strettoia sull'estrema destra del canale.

Il primo salto "pulito" all'inizio della rampa
 
Superatala con poco di facile misto, possiamo finalmente vedere la lunga rampa finale, decisamente più stretta e ripida. La neve qui è a tratti meno dura, e i numerosi passaggi (il canale è molto frequentato) hanno creato una serie di gradini che nei tratti più ripidi si apprezzano. Incontriamo qualche passaggio più pulito, con rocce affioranti e ghiaccio, ma la pendenza non supera mai i 45 / 50 gradi.

Lungo la rampa nella seconda parte

Dopo 3h scarse da quando abbiamo indossato i ramponi, usciamo finalmente in cresta. Il momento come sempre è magico: il sole rimasto a lungo tempo nascosto dietro le pareti ti sbatte di colpo in faccia, illuminando valli e cime che subito ti affretti a riconoscere. Ci mettiamo poco a individuare dietro il mare di nebbia sulla pianura le "nostre" montagne: Cimone, Cusna, Alpe di Succiso.

Cresta finale

Ci togliamo i ramponi con troppa fretta; nel breve ma delicato tratto di cresta che ci separa dalla cima dobbiamo infilarli di nuovo per superare un paio di traversi a nord, che giudichiamo più sicuri della roccia marcia sul versante opposto. Eccoci sotto la croce di vetta (2896), circondati da una successione di montagne sorprendente che include Monviso, Rosa, Cervino, i gruppi di Bernina, Oltres/Cevedale, tutto l'Adamello d'infilata e le sagome lontane degli Appennini già citati.

Il Lago Barberino dalla vetta
 
Sono le 12.30, possiamo goderci questo spettacolo senza eccessiva fretta, anche se l'auto ci aspetta inesorabilmente quasi 2000 metri più giù. Ripercorriamo la cresta fino a un colletto, senza arrivare all'uscita del canale nord; qui una debole traccia con debolissimi ometti (sulla parete è tutto così marcio che non sono rimasti in piedi neppure loro) taglia il versante in direzione sud-est, su sfasciumi, fino a un canale/camino attrezzato con catena. Tutto questo tratto probabilmente diventa molto più complesso con la neve.

Prima parte della discesa

Dalla fine della catena le difficoltà sono ormai terminate, e per ghiaione si raggiunge il fondale della valle di Cornello Rosso prima, e della val Cerviera poi. Qui è rimasta un po' più di neve, nonostante l'esposizione a sud/ovest, e riusciamo a scendere per un bel pezzo coi ramponi su pendenze godibili e il sole pieno in faccia.

Seguendo torrenti ghiacciati verso il fondovalle

I ramponi li dobbiamo poi rimettere l'ennesima volta per superare un'estetica colata di ghiaccio tutta cavolfiori, dopodiché soltanto erba e sassi fino al lago. Al bivacco ci concediamo una pausa prima di recuperare le nostre cose e tornare a Grumelli di Valbondione con il lungo sentiero salito ieri; e come ieri ci godiamo il sole del pomeriggio fino all'ultimo raggio!

Cascata di ghiaccio in val Cerviera

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